AGRIGENTO – La Corte di Assise di Agrigento, presieduta dal giudice Wilma Angela Mazzara, ha condannato a 21 anni di reclusione Gaetano Rampello, 59 anni, poliziotto in servizio al reparto Mobile della Questura di Catania, per aver ucciso con 14 colpi di pistola il figlio Gabriele, 24 anni, nella piazza di Raffadali.
I giudici hanno riconosciuto all’imputato le attenuanti generiche ed escluso, come invece proponeva l’accusa, la circostanza aggravante della premeditazione. Il sostituto procuratore Elenia Manno aveva chiesto la condanna del poliziotto a 24 anni. Riconosciuto anche un risarcimento ai parenti della vittima che si erano costituiti parte civile ma la madre e lo zio, sentiti durante il dibattimento, finiscono sotto inchiesta per falsa testimonianza.
La Corte ha infatti disposto la trasmissione degli atti alla procura ritenendo quantomeno reticenti le loro dichiarazioni nel processo. Il delitto si è consumato esattamente un anno fa. Padre e figlio, con un rapporto da anni caratterizzato da attriti e frizioni, si erano dati appuntamento nella centralissima piazza Progresso.
Il motivo dell’incontro, secondo quanto emerso, è da ricondurre all’ennesima richiesta di denaro del figlio. La situazione però degenera e i due si strattonano fino a quando il poliziotto esplode un primo colpo alle spalle del ventiquattrenne facendone seguire altri tredici. L’omicidio viene ripreso dalle telecamere di sicurezza del comune. Rampello, dopo aver ucciso il figlio, si siede su una panchina nei pressi di una fermata del bus e attende l’arrivo dei carabinieri che lo arrestano. Poi la confessione e il racconto di un rapporto caratterizzato da continue minacce e richieste di denaro avanzate dal figlio.
Gli inquirenti però gli contestano l’aggravate della premeditazione: “Non e’ stato un omicidio d’impeto – aveva detto il pm Elenia Manno durante la requisitoria – ma ha premeditato il gesto andando, probabilmente, a prendere la pistola in caserma prima dell’appuntamento. Tuttavia ha subito anni di violenze e sopraffazioni ed e’ stato l’unico che ha provato ad aiutarlo contrariamente alla madre del ragazzo che e’ venuta qua a testimoniare sminuendo e negando i problemi psichiatrici”.
Diversa la ricostruzione dell’avvocato Daniela Posante, difensore del poliziotto, che durante l’arringa durata quattro ore ha ribadito come non ci si trovasse davanti ad un delitto premeditato. La Corte di Assise ha sposata quest’ultima tesi, escludendo l’aggravante e riconoscendo all’imputato le attenuanti generiche.