Ottavio Grasso: "Riforma della magistratura, non della giustizia" - Live Sicilia

Ottavio Grasso: “Non è una riforma della giustizia ma della magistratura”

Le parole del presidente dell'Associazione nazionale magistrati etnea

CATANIA – L’indipendenza della magistratura dal potere politico, la separazione delle carriere, il momento storico di tensione con il governo Meloni. Ottavio Grasso, giudice per le indagini preliminari, è stato da poco nominato presidente della giunta distrettuale di Catania dell’Associazione nazionale magistrati.

In un colloquio con Livesicilia Grasso affronta i principali nodi che hanno portato l’Anm, organismo che rappresenta i magistrati italiani, a sempre maggiori frizioni con l’esecutivo, impegnato in una riforma della giustizia che i magistrati italiani in larga parte non approvano.

Proprio nelle settimane scorse tutta l’Anm ha rinnovato le proprie cariche elettive, con l’elezione tra gli altri del presidente della giunta direttiva nazionale e delle diverse giunte distrettuali, come quella di Catania.

Lo sciopero del 27 febbraio

Dottore Grasso, lei appartiene alla corrente della magistratura Unicost?

Sì, si tratta di Unità per la Costituzione, una corrente moderata che si richiama ai principi costituzionali come faro dell’attività quotidiana dei giudici e della loro attività ermeneutica”.

In questo periodo sono in corso diverse tensioni con il governo soprattutto a causa della riforma della giustizia e della separazione delle carriere.

Noi giorno 27 febbraio faremo uno sciopero e organizzeremo un’assemblea in cui avremo modo di veicolare meglio l’idea e il messaggio sulla sulla riforma. Quello che mi preme dire subito è non è una riforma della giustizia, non interviene sul tema del servizio giustizia, è una riforma sulla magistratura. Si vuole cioè cambiare l’assetto costituzionale della magistratura.

La riforma della giustizia

E qual è il suo parere sulla Riforma?

Vado a pillole, ad esempio sulla separazione dei magistrati tra pubblici ministeri e giudici: come è stato detto in più sedi quella separazione è già in essere. Il passaggio da una funzione all’altra è rarissimo, i dati sono chiari. Già oggi c’è una separazione di funzioni e per passare dalla funzione giudicante alla funzione requirente o viceversa servono tempistiche rigide.

Dunque un intervento su qualcosa che già esiste…

Di fatto lo si può fare solo nei primi 10 anni di carriera e ad oggi negli ultimi anni i passaggi dall’una all’altra funzione sono dello zero per cento, quindi parliamo di qualcosa che per noi è molto relativa.

Quali altri temi sono problematici?

L’altro tema che ci preoccupa della riforma è lo sganciare il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione. Il pubblico ministero nasce e svolge la sua attività insieme al giudice. Si forma con un humus formativo e culturale identico a quello del del giudice.

Cosa accadrebbe?

Sganciare il pubblico ministero dalla logica della giurisdizione, secondo noi, potrebbe e rischia di portarlo a una deriva securitaria. Che rischia di avvicinarlo a un super poliziotto. Questo al momento è un rischio, non è l’attuale assetto, però un pubblico ministero acefalo è difficile da pensare, e il passaggio successivo alla riforma secondo noi sarebbe quello di attrarlo inevitabilmente al potere esecutivo.

L’indipendenza dall’esecutivo

Dunque, paventate che possa esservi una sorta di ingerenza sul vostro operato?

Esatto. Diciamo “super poliziotto” perché di fatto rischia di diventare un po’ il coordinatore finale dell’attività che svolge la la polizia giudiziaria. Cosa che in questo momento fa, però attraverso quella sua formazione, quell’humus formativo che è proprio della giurisdizione, è abituato a pensare come un giudice.

Secondo voi, e senza girarci attorno, un modo per controllare i giudici?

Secondo me è necessario riflettere sugli ultimi 30 anni, sul tema di Mani Pulite e del rapporto tra magistratura e politica che deve essere oggetto di un ripensamento e anche in chiave costituzionale. A mio avviso però questo andrebbe fatto con un laboratorio che di fatto non abbiamo da 30 anni, come era o potrebbe essere la cosiddetta bicamerale.

Ripartire dalle regole, dunque…

L’idea di base è che le regole del gioco si scrivano insieme, ma non perché si è di destra o di sinistra ma perché al di là delle squadre d’appartenenza se non ci mettiamo d’accordo che la partita deve durare 90 minuti e se qualcuno la vuole accorciare a 80 cambia l’assetto del sistema.

Gli “atti dovuti”

Questa frizione tra chi fa le leggi e chi deve applicarle ultimamente ha fatto muovere diverse accuse alla magistratura, accusata di nascondersi dietro regole e cavilli per poi fare cose che invece non sono proprio dovute.

Qui secondo me è veicolata un’informazione distorta. Dove c’è una legge c’è l’interpretazione, l’attività ermeneutica è propria di tutti gli operatori del diritto, quindi è insita nel sé della giurisdizione, nel giudicare e nell’applicare le norme.

Un tema su cui ci sono stati diversi contrasti è quello dell’immigrazione…

Proprio sul tema dei migranti si tace il fatto che questo aspetto è regolamentato da direttive europee e su questo punto non si dice come vanno a finire gli alt della politica che si lamenta dei provvedimenti “impropri” da parte della magistratura.

Cioè?

La magistratura ha emesso dei provvedimenti che hanno un loro sistema di impugnazione, che sono a garanzia del sistema stesso. Penso al noto caso catanese e alla collega Apostolico, questo decreto che ha fatto tanto scalpore e tanto discutere si è chiuso con una conferma del provvedimento e con il governo che ha ritirato la propria impugnazione perché il provvedimento di rigetto del respingimento era stato regolare.

Dunque un’adesione alle leggi e non un modo per interferire con l’esecutivo?

La vecchia scuola dei nostri maestri magistrati ci ha insegnato che il giudice parla con il provvedimento, perché quella è la sua attività. Il giudice non ha nessun interesse a prendere le parti di una delle parti, semmai è proprio l’imparzialità e l’autonomia delle parti che lo contraddistingue.


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