PALERMO – Quella di Giuseppe Corona è solo l’ultima scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Il boss di Resuttana è stato preceduto da altri condannati tornati liberi dei quali non si può non tenere conto nella nuova mappa della mafia. Non solo palermitana.
Ci sono a piede libero personaggi la cui appartenenza a Cosa Nostra è certa, altri come Corona con pesanti condanne in secondo grado, altri ancora che gli stessi associati mafiosi intercettati consideravano personaggi chiave per l’intera organizzazione.
Il “pilastro”
“Qua ci sono tre pilastri che non si possono toccare”, diceva Giuseppe Incontrera, boss la cui ascesa è stata fermata con il piombo. Una dei tre era il consuocero Giuseppe Di Giovanni, libero da luglio 2023, per scadenza dei termini dopo che alla difesa non erano stati notificati alcuni atti.
“Per la prima volta io sono entrato a marzo dell’anno scorso”, diceva Di Giovanni collocando nel 2019 l’inizio della sua stagione al vertice di Porta Nuova, subentrato ai fratelli Tommaso e Gregorio. Aveva voluto che il parente acquisito in virtù del matrimonio fra i figli gli stesse accanto nella gestione degli affari e per chiarire a tutti chi fosse “il padrone di questa macchina”.
Gli uomini di Messina Denaro
Pochi giorni fa la Corte di appello di Palermo ha scarcerato per decorrenza dei termini di fase – il limite temporale massimo entro cui avrebbe dovuto concludersi il processo – nove boss trapanesi fedelissimi di Matteo Messina Denaro: Nicola Accardo, Giuseppe Tilotta, Paolo Bongiorno, Calogero Guarino, Vincenzo La Cascia, Raffaele Urso, Andrea Valenti Filippo Dell’Acqua, Antonino Triolo.
Condannati dopo un rinvio della sentenza da parte della Cassazione solo per valutare alcune aggravanti, dunque mafiosi ma scarcerati. Alcuni erano detenuti al 41 bis, proprio come Corona che invece è rimasto sei anni in carcere, il limite massimo di carcerazione preventiva per il reato contestato a Corona.
Il processo di primo grado si concluse nel giugno 2022. Lo scorso marzo è stato condannato in appello con un leggero sconto di pena per il venir meno dell’aggravante del reimpiego del denaro di provenienza illecita.
La motivazione non è stata ancora depositata, solo dopo che ciò avverrà potrà essere fissato il giudizio in Cassazione.
Il mancato deposito nulla c’entra con la scarcerazione che sarebbe avvenuta ugualmente, anche se la Corte non avesse chiesto una proroga per il deposito della motivazione.
Processi lunghi, cambi di collegi, annullamenti con rinvio, vizi procedurali: la giustizia segue binari tortuosi anche nei processi di mafia. E le scarcerazioni, codice alla mano, diventano “legittime” e inevitabili anche di fronte a reati che creano allarme sociale.
I boss di Brancaccio
A Brancaccio nel 2021 tornarono liberi alcuni imputati nonostante la condanna di primo grado. Tra questi Giovanni Lucchese, detto Johnny, Claudio D’Amore, Giuseppe Caserta che attendono a piede libero di conoscere l’esito del processo di appello.
Dietro la scadenza dei termini nel loro caso ci fu l’azzeramento del processo in appello dopo avere recepito una pronuncia della Cassazione: il giudice che mandò a processo gli imputati, infatti, era incompatibile perché da gip aveva firmato alcuni decreti di intercettazione.
Condannati e scarcerati che si aggiungono a coloro che liberi lo sono diventati dopo avere pagato il conto la giustizia. Storie di mafia, di boss della vecchia guardia e di volti nuovi che si sono fatti largo come Corona che si è sempre definito una vittima della giustizia.