"Dalla Chiesa, Orlando, la speranza | La mia Alessandra dolce e caparbia"

“Dalla Chiesa, Orlando, la speranza | La mia Alessandra dolce e caparbia”

Gualtiero Siragusa e la figlia Alessandra in foto

Tra un po' saranno sei anni dalla scomparsa. Gualtiero Siragusa racconta sua figlia Alessandra.

PALERMO – Tra qualche giorno sarà una vita che Alessandra Siragusa, scomparsa a Palermo il 28 dicembre 2013, ci manca. Una vita senza di lei, da riempire con l’immaginazione di cosa sarebbe accaduto di bello, invece, con lei.

Una vita a rimpiangere la sua fresca risata che vinceva le tracce di sofferenza. Una vita a pensarla, magnifica, sulla poltrona di sindaco a Palazzo delle Aquile, con la sua profonda passione civile, perché prima o poi ci sarebbe arrivata. Una vita a cadere nella trappola dell’affetto, a girarsi di botto, cercando, a dirsi: ecco, questo lo chiedo ad Alessandra. E riscoprire, con dolore, la notizia, che la dolcissima Alessandra, la nostra Alessandra, la generosa Alessandra dei palermitani, non c’è più.

E per farla tornare, per riabbracciarla, è necessario parlare con un uomo nobile come la figlia, con papà Gualtiero che sembra un settantenne giovanile, nonostante le sue ottantacinque primavere. Accanto a lui, in una bella casa intrisa di memorie e futuro, c’è Toti Cecala, dell’ufficio scolastico del Miur, che condivise, valorosamente, con l’assessore Siragusa la difficile battaglia dell’istruzione a Palermo e molto altro.

Gualtiero chiama in causa il suo cuore, prima di cominciare a sfogliare foto ricordo di un nitido bianco e nero. “Alessandra – dice – è sempre stata altruista, splendida, dolce, caparbia e, sì, generosissima. Era bravissima a scuola, ma aiutava le sue compagne, passando il compito. Molte di loro mi telefonano, mi scrivono e vengono a trovarmi, la memoria non muore mai. Era eclettica, impegnata, perfino una sua insegnante mi ha chiamato l’altro giorno”. E si capisce che l’amore inesausto di un padre coincide con la verità che viene proclamata senza sussulti, nella sua pienezza.

“Alessandra era appassionata, i più umili, i più poveri, i più disagiati erano tutti figli e amici suoi. Guardava a Palermo con speranza e rabbia. Fin da giovane voleva cambiare le cose che non andavano e credo che, col suo impegno, almeno in parte ci sia riuscita. Si è circondata di persone a cui voleva bene e che le volevano bene”. C’era per esempio il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che telefonava, quasi ogni sera, ad Alessandra allora tredicenne, intessendo lunghe chiacchierate, come per narrare le favole della buonanotte.

“Carlo – racconta papà Gualtiero – era un lontano parente, un vero amico di famiglia. Viveva una esistenza blindata ma trovava il tempo per chiacchierare con mia figlia perché l’entusiasmo innocente di una ragazzina di tredici anni gli faceva bene, lo rasserenava. Dopo la strage di via Isidoro Carini ad Alessandra è caduto il mondo addosso. Rammento perfettamente la sua reazione. Fu un momento tragico che, però, la motivò di più sul sentiero della giustizia”.

E il rapporto con Leoluca Orlando: un incastro importante, non sempre semplice, tra un leader abituato a imporsi e una donna forte che riconosceva soltanto la propria autonomia. “Luca è stato affettuosissimo – dice Gualtiero – molto presente nel periodo della malattia. E quando è successo quello che mai avremmo voluto si è messo a disposizione, organizzando la camera ardente a Villa Niscemi, con una vicinanza che non possiamo dimenticare di cui gli saremo eternamente grati. Alessandra voleva cambiarla davvero Palermo: era la sua missione”.

Alessandra e il sorriso. Alessandra e le lacrime. Alessandra e la gioia di vivere che contagiava chiunque le passasse accanto. Alessandra che aveva dei lunghissimi slarghi di silenzio, ma bastava guardarla negli occhi per cogliere tutte le parole che navigavano lì in mezzo.

“Mia figlia la penso felice – dice Gualtiero – come quando, da ragazzina, in Toscana, trascorreva le vacanze e la sua migliore amica era Giuseppina, la figlia dei contadini. Non si sono mai lasciate. L’ultimo regalo di Giuseppina è stato una bottiglia di Vin santo…”. E tace di colpo, papà Gualtiero. E prende un libricino da lui stesso pubblicato con una foto abbacinante in copertina. Si legge, fra le tante testimonianze, il saluto dei collaboratori dell’assessorato: “Alessandra, scusaci se siamo emozionati, ma, dopo sette anni di lavoro, ci mancherà la tua presenza e l’amore con cui ci hai guidati”.

All’inizio, la dedica dei genitori: “Ale, amore nostro, sei proprio bella. Ti ricordi quante volte ti abbiamo detto che non è importante essere belle fuori, quanto esserlo dentro e tu ci hai accontentato (…) I tuoi amici non ci lasciano mai soli, vengono a trovarci spesso. Come vedi, Ale nostra, quaggiù non va poi tanto male. Stai in pace, con la tua grande fede, e prega per noi. Ci riuniremo il più tardi possibile. Scusaci, ma abbiamo tanto da fare. Ti amiamo e ti ameremo per sempre, papà Gualtiero e mamma Tonia”.

E Gualtiero stringe il libricino tra le braccia, come se la stesse cullando ancora.

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