Palermo, il boss: "Ho trasportato il Caravaggio rubato"

Il boss ai carabinieri: “Ho trasportato il Caravaggio rubato”

Il racconto ai carabinieri di Pietro Vernengo, deceduto nei giorni scorsi

PALERMO – Il boss di ghiaccio decise di parlare. Una violazione del codice d’onore mafioso che colse di sorpresa i carabinieri. Uno strano episodio nel contesto di uno dei più grandi e irrisolti furti d’arte della storia. Al capomafia Pietro Vernengo, morto pochi giorni fa a Palermo, sono legate le vicende della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, dipinto da Caravaggio e trafugato nell’oratorio di San Lorenzo nel lontano 1969. Il fascicolo della Procura della Repubblica è sempre aperto. I carabinieri mai hanno smesso di cercare la tela, a Palermo come in Svizzera. Alcuni spunti interessanti li aveva offerti, inaspettatamente, proprio Vernengo in un verbale del 1996 e tornato di grande attualità.

Il giocattolaio

I militari del Nucleo tutela patrimonio artistico si erano messi sulle tracce di Guido De Santis, palermitano con precedenti per droga che, dopo aver scontato la pena, si era trasferito a Massafra, in provincia di Taranto dove gestiva un negozio di giocattoli. Notizie sul dipinto? Nessuna. Quando i militari chiusero il verbale, il venditore di giocattoli diventò stranamente loquace nel retrobottega della sua attività commerciale.

Il contenuto delle sue informazioni finì in una relazione di servizio del 29 dicembre 1996. De Santis sapeva che a rubare il quadro erano state due persone. Caricarono la tela su una Moto Ape, un mezzo parecchio usato a Palermo per ogni genere di piccolo trasporto. Dopo il furto il dipinto fu trasportato in un appartamento in via Archirafi, non lontano dalla Stazione centrale dei treni.

De Santis ha visto la tela perché è lì, in quella abitazione, che uno dei ladri gli aveva dato riparo mentre scappava dai poliziotti. Gli davano la caccia perché lo ritenevano responsabile di un tentato omicidio. Seppe allora, aggiunse, che a commissionare il furto era stato un pezzo grosso della mafia. Fece il nome del boss Pietro Vernengo, che nel 1969 dettava legge nella famiglia di “Corso dei Mille”. Il quadro “era spesso e difficile da arrotolare”, aggiunse il venditore di giocattoli che si attribuiva un ruolo decisivo nelle fasi successive al furto.

“Mi diedero 13 milioni”

Si “occupò personalmente” della consegna del quadro che, dieci giorni dopo essere stato staccato dalla cornice, “fu portato dai due autori alla Scaffa – ponte dell’Ammiraglio” e consegnato nelle mani di Vernengo in cambio di “10-13 milioni di lire”. Fu De Santis a intercedere affinché i due ladri venissero pagati. L’incarico a Vernengo era stato assegnato da qualcuno che stava ancora più in alto nella gerarchia di Cosa Nostra. E cioè Stefano Bontade, il “principe di Villagrazia” e capomafia di “Santa Maria di Gesù”.

E Vernengo parlò

Nello stesso anno i carabinieri interrogarono Vernengo. “Sono e mi chiamo Vernengo Pietro, nato a Palermo, l’8 gennaio 1943, in atto detenuto presso la casa circondariale di Cuneo”. Muto quando la penna era aperta, loquace quando la chiacchierata con i carabinieri si fece confidenziale. L’uomo di ghiaccio parlava in maniera inaspettata. I militari gli mostrarono un’immagine del quadro.

Vernengo la riconobbe senza esitazione e iniziò a parlare. Raccontò, infatti, “di avere eseguito il trasporto dell’opera circa un anno e mezzo o due dopo il furto avvenuto nel 1969. Lo stesso fu dato ad un personaggio poi morto alcuni anni dopo, forse nel 1976, per infarto”. Ed ancora che “l’opera trasportata era inserita in un tubo di plastica da 50-60 centimetri di diametro, largo due metri. La tela era spessa e vi erano cadute di colore”. Del quadro non ricordava altro e chiese di potersi allontanare.

Il pentito Marino Mannoia, interrogato da Giovanni Falcone, disse che era stato Vernengo a bruciare il quadro. Pochi anni fa disse cambiò idea: una bugia per liberarsi del magistrato e delle sue pressanti domane.

Il quadro non è distrutto

Nel 1996, però, nessuno prima di Vernengo aveva smentito la tesi della distruzione del dipinto. Nel 2017 i carabinieri e i membri della Commissione parlamentare antimafia tornarono dal boss. Era anziano e malato. Colpa dell’Alzheimer. Gli era stato concesso di curarsi in una clinica psichiatrica privata di Palermo. Farfugliò qualcosa che, però, da sola non bastava per tornare ad ammirare la “Natività con i Santi Lorenzo e Francesco”, trafugata più mezzo secolo fa in un oratorio della vecchia Palermo.


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