PALERMO – “Un cancro per la giustizia”, l’avvocato Rocco Chinnici pronuncia parole durissime davanti alla Corte di appello di Palermo che deve decidere se accogliere o meno la richiesta della Procura generale di sequestrare i beni degli eredi degli imprenditori Cavallotti di Belmonte Mezzagno.
Nel 2019 il Tribunale per le misure di prevenzione ha confiscato i beni ai fratelli Vincenzo, Salvatore Vito e Gaetano Cavallotti ma ha dato ragione agli eredi. I loro beni sono stati tutti dissequestrati, vincendo una battaglia giudiziaria che va avanti dal 2011. “Fateci lavorare”, dissero in una intervista rilasciata a Livesicilia nel 2014, prima che scoppiasse lo scandalo delle Misure di prevenzione.
Il reato di turbativa d’asta contestato fu dichiarato prescritto, mentre arrivò un’assoluzione piena dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo i giudici, non era stata raggiunta la prova della loro colpevolezza, ma erano emersi elementi che ne tracciavano la contiguità con i boss Ciccio Pastoia e Benedetto Spera, fedelissimi di Bernardo Provenzano, grazie ai quali avrebbero ricevuto alcune importanti commesse. Tanto bastò per sottoporli a misure patrimoniali e personali perché ritenuti “socialmente pericolosi”.
Il passaggio successivo furono le misure di prevenzione. Il sequestro si basava sul presupposto che ci fossero sempre i Cavallotti dietro i beni e le imprese dei figli. In primo grado la ricostruzione non ha retto e sono state restituite le imprese Euroimpianti plus, Tecno Met, Energy Clima Service, 3C Costruzioni, Eureka, Vmg Costruzioni e Servizi, Prorison e tutti i relativi beni aziendali.
Di quei beni sono rimaste solo le macerie, spiega nella sua arringa l’avvocato Chinnici che compone il collegio difensivo insieme agli avvocati Salvino Pantuso, Patrizia Aucelluzzo, Luca Inzerillo e Baldassare Lauria.
Il fallimento delle imprese sotto l’amministrazione giudiziaria, aggiunge il legale, “è divenuto negli anni l’emblema delle disfunzioni delle misure di prevenzione. Non voglio fare politica in questo processo perché non è mio costume ma è giusto dire che è un processo che è colpito da una patologia genetica”.
Secondo la Procura generale, che ha riproposto il sequestro, bisogna scindere la vicenda processuale da quella che ha portato alla condanna dell’ex presidente della sezione Misure di prevenzione, Silvana Saguto, e ha travolto l’intera sezione. Il giudizio di appello è alle battute finali.
Ed invece, secondo la difesa, è proprio dall’origine del sequestro che bisogna ripartire per abbattere “l’artificiosa ricostruzione su sui si regge“. All’origine di tutto ci fu la segnalazione dell’amministratore giudiziario Andrea Modica De Mohac. Si parlava della possibile concorrenza delle imprese dei Cavallotti con quelle che egli stesso amministrava. Circostanza bollata come “falsa” dall’avvocato Chinnici perché “Modica de Mohac aveva venduto tutto. Non c’era concorrenza potenziale. Le imprese non potevano partecipare più a nessuna gara”. Sulla gestione di De Mohac la Procura ha anche indagato, chiedendo l’archiviazione nonostante, ricordato il legale della difesa, siano emerse parecchie ombre.
Il legale ricorda che poco prima del sequestro lo stesso amministratore “aveva chiesto ai Cavallotti di firmare una lettera di manleva per sollevarsi da ogni responsabilità per l’operato da lui svolto”. Voleva che gli eredi Cavallotti lavorassero in azienda. “Loro hanno rifiutato – aggiunge Chinnici – e da un impegno di collaborazione si passa a una segnalazione”.
Segnalazione da cui partono “sequestri a cascata”, da cui ha origine “un processo a valanga che non distingue i beni che colpisce e allora la chiave del processo è nella sua genesi. Da lì dobbiamo partire e lì che c’è la cellula tumorale, è lì che c’è il cancro” che il legale chiede ai giudici di estirpare per “ridare dignità agli eredi Cavallotti“.
La difesa cita più volte le parole di Silvana Saguito che intercettata diceva: “Se ci annullano i Cavallotti per esempio, qua succede un casino. Abbiamo preso l’Italgas… Cavallotti è ancora ferma in Cassazione. Ed è la base da cui siamo partiti, quindi considera che cosa potrebbe succedere… quindi noi dobbiamo essere blindati”. Saguto temeva il dissequestro, considerava la vicenda Cavalotti come la “madre” di tutti i processi o, forse, di tutti gli scandali. Ora si attende la decisione del collegio presieduto da Giacomo Montalbano.