PALERMO – Diversi fogli, con le inziali di nomi e soprannomi, seguite da cifre. Non ci sono dubbi: Giuseppe Auteri teneva una contabilità. Ora quei fogli sono in mano alla Procura della Repubblica e ai carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale. Pizzo o affari. Quali? Forse quelli della droga.
Auteri, scovato in una palazzina semi fatiscente in via Recupero, per un certo periodo ha gestito la cassa del mandamento di Porta Nuova. Un dato salta all’occhio per due ragioni. La stradina dove è avvenuto l’arresto si trova a due passi da via Oreto, dunque lontano dalla zona di appartenenza di Auteri. Qualcuno deve averlo autorizzato a spostarsi correndo il rischio di attirare gli investigatori. Perché ha cambiato aria perché temeva che attorno a casa sua, com’è logico, il controllo fosse serrato oppure che qualcuno potesse tradirlo?
Si era allontanato mesi prima che i carabinieri andassero a notificargli, lo scorso luglio, un’ordinanza di custodia cautelare. Da allora ha vissuto in maniera riservata. Nessun contatto con i parenti (non è sposato e non ha figli), il cellulare che aveva era spento. Ha scelto di vivere nell’ombra in una casa con tutti i comfort ma esteriormente decadente. Eppure i fogli della contabilità dimostrano che continuava a gestire il potere in un mandamento dove era rimasto il più alto in grado in libertà da quando a Porta Nuova hanno arrestato capi e gregari. A cominciare da Tommaso Lo Presti, che lo ha voluto al suo fianco.
Qualcuno rimasto fuori dai radar gli ha garantito protezione (ad esempio gli ha trovato la casa intestata a una donna che sembrerebbe essere stata all’oscuro dell’identità e della caratura del suo ospite), ma anche una piena operatività.
“Vassoio”, così viene soprannomina Auteri, al momento dell’arresto, il 4 marzo, dopo una latitanza durata quasi tre anni, aveva un revolver con matricola abrasa, quindici colpi e quasi cinquemila euro in contanti. Ha scelto di non rispondere al giudice che lo ha interrogato. Bocca cucita, com’era lecito attendersi. Agli investigatori, coordinati dal procuratore Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Marzia Sabella, il compito di trovare il codice per decriptare i figli della contabilità. Anche in quelle lettere puntate usate per nascondere nomi e affari c’è la prova della riservatezza del boss.