“Ha presente l’inferno? Ecco, questo è l’inferno. Al pronto soccorso di Villa Sofia non campiamo più. Siamo tutti volenterosi, impegnati e pronti. Ma affrontiamo ogni giorno difficoltà insormontabili. E chi può va via”. Parole di un camice bianco che, anche oggi, affronterà il suo calvario quotidiano nel reparto preso d’assalto da mezza città per le patologie non Covid. Un numero enorme di accessi, pochi medici: tredici, su una pianta organica di trentuno. E’ cronaca di questi giorni, ma non solo. I lavori per la ‘camera calda’, il locale che mette in connessione ambulanze e presidio, e per la sala d’attesa hanno un po’ razionalizzato un sistema che però continua ad andare in tilt. I codici rossi vengono prontamente smaltiti, secondo la scaletta prioritaria delle urgenze. I codici gialli possono attendere anche fino a dodici ore e oltre. Un grave disagio per i pazienti. Una mortificazione per i professionisti della Sanità che avrebbero diritto a condizioni di lavoro più umane.
‘Quella lunghissima attesa’
Una testimonianza, una delle tante che ci giungono, descrive il contesto, protetta dalla privacy: “Siamo arrivati con un parente anziano a cui è stato assegnato il codice giallo alle 9,15 e intorno alle 20,30 lo abbiamo portato via. Lui, durante l’attesa, stava morendo di sete e fame, qualcuno si è avvicinato e gli ha portato il telefono, così abbiamo parlato. Le guardie giurate fanno da tramite e cercano di essere gentili, ma non possono certo sostituire un dottore o un infermiere per avere notizie. Il nostro parente ha saltato tutte le terapie che fa durante il giorno e solo perché abbiamo insistito gli hanno fatto bere un succo di frutta che non volevano dargli per paura che si affogasse”. Non sembra un caso limite, ma la drammatica normalità.
‘Medici in lacrime’
“Tanti colleghi vorrebbero letteralmente scappare. Ricevo telefonate di medici in lacrime, dal pronto soccorso di Villa Sofia. C’è chi mi ha raccontato di avere anche cinquanta pazienti fuori la porta – dice il dottore Giuseppe Bonsignore, dirigente del sindacato dei medici ospedalieri CIMO -. I lavori hanno portato qualche minimo vantaggio, ma la situazione resta estremamente critica. Ora, a giorni, ci sarà il concorso, ma non so quanti lo faranno, secondo una tendenza nazionale ormai collaudata. Nessuno vuole affogare in un pronto soccorso”.
I motivi della crisi
Perché si racconta una crisi profonda che, ciclicamente, assume i contorni di una piaga biblica? Proviamo ad abbozzare un elenco sommario. L’organico, innanzitutto, ridimensionato anche dalla partenza di chi va via per un altro incarico. E non viene reintegrato. I concorsi deserti nei pronto soccorso. La posizione geografica isolata di un nosocomio che, da solo, visto che il ‘Cervello’ è Covid, fronteggia tutti i pazienti no Covid di una porzione gigantesca di città. I positivi che comunque spuntano sempre e inceppano la macchina, almeno tre o quattro volte al giorno: talvolta vengono individuati con il molecolare dopo un antigenico negativo. I 130-150 accessi quotidiani: tutto porta alla consumazione di un caos.
Un bollettino di guerra
Scorrendo le cronache viene in mente una sorta di bollettino di guerra. Che comprende gli insulti e le minacce scagliati contro chi cerca di dare una mano, nonostante condizioni obbiettivamente proibitive. Medici, infermieri, operatori sanitari, guardie giurate: tutti subiscono la loro razione di contumelie, prodotta (ma non scusata) talvolta dal disagio, oppure dalla semplice e cruda protervia. Sono soli. E li chiamavano eroi.
(l’ingresso di Villa Sofia in una foto d’archivio)