PALERMO – “Per Palermo il dissesto è improponibile”, così ieri, il sindaco del capoluogo siciliano Roberto Lagalla ha commentato il futuro finanziario della città rispondendo alle domande di LiveSicilia. Nell’intervista il nuovo inquilino di Palazzo delle Aquile ha descritto la sua ricetta: no all’aumento Irpef, più riscossione per chi non paga, più risorse dallo Stato e un secco no al dissesto. Quella invocata da Lagalla è così una nuova norma salva Palermo stante le criticità rimaste irrisolte dalla prima normativa a tutela delle città metropolitana in crisi, fra cui Palermo, varata dallo scorso dicembre dal parlamento nazionale con la legge di stabilità.
Il primo quesito a cui rispondere è proprio questo: Palermo rischia il dissesto? Stando al quadro normativo la risposta è negativa. L’avvio della procedura di riequilibrio avrebbe attivato, infatti, il comma 578 dell’ultima finanziaria nazionale che sospende la possibilità di dichiarare il dissesto. È questo il principale salvacondotto per il Comune di Palermo, ottenuto dalla precedente amministrazione che così ha guadagnato per chi sarebbe arrivato dopo il tempo necessario per evitare il default del Comune. E così, sebbene la proroga della scadenza per l’approvazione dei bilanci preventivi e delle aliquote, ha dato respiro ai tanti enti locali, forse, anche la mancata approvazione di questi atti da parte di Sala delle Lapidi non avrebbe fatto scattare automaticamente il dissesto.
Sciolto questo primo nodo le questioni diventano di tre ordini. C’è da considerare l’importanza di approvare le imposte comunali che stando al piano di riequilibrio presentato sono la garanzia di potere chiudere il bilancio preventivo. C’è da chiarire perchè il bilancio preventivo dell’ente è importante. E c’è da capire come si possa riuscire a raggiungere questi risultati nel momento in cui è la stessa legge a richiedere al Comune di innalzare l’addizionale Irpef e c’è un piano di riequilibrio approvato da Palermo, criticato dal Ministero dell’Interno.
Meglio procedere con ordine. Avere più tempo per approvare i bilanci vuol dire avere più tempo per varare le misure correttive previste dal piano di riequilibrio al momento in vigore per avere maggiori entrate. Non si tratta solo di Irpef ma si tratterebbe anche della tassa sui diritti di imbarco e di tutte le altre maggiori entrate tributarie, e non, previste. Secondo i programmi del primo piano di riequilibrio tale manovra, sommata alle poche risorse arrivate da Roma, avrebbe consentito a Palazzo delle Aquile di chiudere il bilancio in equilibrio e così rilanciare l’attività del Comune di Palermo. Senza bilancio, infatti, l’ente locale non può programmare la spesa e i servizi offerti dall’ente sono quantomeno compromessi.
Adesso però Roberto Lagalla propone apertamente la necessità di una riscrittura del piano di riequilibrio e della norma per salvare Palermo. È infatti una norma statale che prevede la possibilità di alzare l’addizionale sull’imposta sul reddito delle persone fisiche fin dove serve per chiudere in pareggio il bilancio. Occorre cambiare la norma e forse occorrerà una ulteriore operazione verità sui conti.
Basti ricordare uno dei rilievi fatti dal Ministero dell’Interno attorno alla proposta di piano di riequilibrio arrivata a Roma. Fra i tanti punti gli uffici ministeriali hanno sollevato dubbi sullo stesso ammontare del buco di bilancio da ripianare che dovrebbe essere composto da disavanzo di amministrazione (Il disallineamento a consuntivo fra entrate e uscite che causa lo squilibrio finanziario), debiti fuori bilancio (debiti a carico dell’ente mai entrati nel circuito del bilancio) e passività potenziali. “L’ente – si legge nella missiva arrivata a Palermo nella prima decade di maggio – è invitato a chiarire, attraverso una puntuale relazione, come sia giunto a determinare la massa debitoria in soli € 438.373.316 dal momento che dall’ultimo rendiconto approvato al momento della predisposizione del piano, relativo alla gestione dell’esercizio 2020, emerge un disavanzo di €622.030.627,54″. In altre parole, al Ministero non risulta comprensibile come mai, se il disavanzo, che è il primo problema da risolvere sia pari a 622 milioni di euro, la massa debitoria, che dovrebbe essere più ampia, è invece inferiore. I conti, in altre parole, non tornano.
La soluzione, così, a un problema di questa complessità tecnica rimane politica. È politica, e serve una legge, la scelta che dovrà portare al varo di una norma che salvi Palermo dal rischio della paralisi contabile e amministrativa e faccia dei passi indietro rispetto al contesto normativo già fissato. È il politica, infine, la principale decisione che appare riuscire a mettere in sicurezza i conti della città senza salassare chi vi abita: la decisione, cioè, di dare a Palermo i soldi che servono senza lasciarle le briciole.