Palermo, il teatro e l'arte di corte |Storia di un feeling spezzato - Live Sicilia

Palermo, il teatro e l’arte di corte |Storia di un feeling spezzato

Roberto Alajmo

Dietro al terremoto del Biondo la difficile convivenza tra cultura e potere.

Le dimissioni di Alajmo
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PALERMO – Sembra che l’inizio della fine sia databile alla messa in scena del Kean, con Lollo Franco, asso pigliatutto dei Festini. Che dal palco ringraziò il sindaco Leoluca Orlando per averlo voluto al Biondo. Sembra che in quel momento, raccontato oggi con un elegante e dosato passaggio dall’edizione palermitana di Repubblica, l’imbarazzo di Roberto Alajmo, che vicino a Orlando sedeva, sia stato tangibile. E dire che lo spettacolo di Perriera trattava tra l’altro, e con una certa insistenza, del tema della “distanza di sicurezza” tra l’attore e il potere. Il tema, all’indomani delle dimissioni shock di Alaimo dal teatro cittadino, sembra di grande attualità. L’arte e il potere, questione antica e affascinante, nella terra che fu di Federico II e della sua corte d’artisti, studiosi e letterati. Altri tempi, certo, e altri sovrani.

Oggi, regnante Leoluca Orlando, con le elezioni sempre più vicine, il dialogo tra teatro e Palazzo s’arresta bruscamente, dopo che il sindaco aveva bollato il Biondo come “isola infelice” e dopo che il cordone della borsa comunale era stato tirato per il teatro rilanciato da Alajmo. Che lo stesso Orlando aveva voluto al vertice del Biondo, in quel rilancio delle istituzioni culturali cittadine che ha avuto nel Teatro Massimo l’avamposto dell’orlandismo, con l’affidamento delle chiavi al fedelissimo Francesco Giambrone. Con risultati felici in termini di bilanci e d’immagine, che hanno visto il tempio cittadino dell’opera aprirsi sempre più a nuovi linguaggi, celebrato dalla stampa che conta, in un rapporto felicissimo e quasi d’osmosi, che ha visto, a mo’ d’esempio, un trittico di eventi dedicati alle prestigiose firme di Repubblica, da Bolzoni a Rampini passando per Odifreddi. Qualcosa di simile accadeva in via Roma, dove Alajmo con una cura da cavallo sembrava aver rilanciato il teatro in termini di spettatori e di visibilità. Ma qualcosa s’è rotto nel feeling con Palazzo delle Aquile. Anche se adesso il sindaco dice che vorrebbe che Alajmo ci ripensasse. E lo stesso pare pensi il silente Gianni Puglisi, presidente della Fondazione. E persino la Regione ha battuto un colpo con l’assessore Anthony Barbagallo che s’è detto “amareggiato”. Ma il destino del Biondo appare segnato. Alajmo oggi s’è congedato dal personale: “Mi sono anche commosso”, confida il direttore dimissionario. D’altronde i sindacati ieri, dopo mesi di scontri asperrimi, non hanno potuto fare a meno di notare che “anche se responsabile di alcuni errori, Roberto Alajmo ha triplicato incassi e abbonamenti, ha ridato slancio e visibilità nazionale a questo teatro da troppi anni chiuso in se stesso e isolato, ha portato Emma Dante, personaggio di spicco, nel panorama internazionale”.

Tutto rischia di andare perduto adesso. In bilico c’è il futuro dei dipendenti. E del teatro nel suo insieme. “Non possono chiedermi di distruggere quello che ho costruito”, avrebbe detto Alajmo conversando con amici e colleghi dopo la lettera di ieri e l’accusa a Orlando di aver “sfregiato” il Biondo. Ripensarci? “Dovrebbe cambiare il contesto siciliano”, si limita a rispondere lo scrittore-giornalista. Una frase in cui c’è tutto il peso dell’antico topos dell’irredimibilità della Sicilia. Il futuro è un copione da scrivere, giacché di teatro si parla. E qualche smaliziato già s’aspetta di vederne inscenare uno collaudato, ossia quello del deus ex machina che giunge provvidenziale a “salvare” baracca e burattini con un gioco di prestigio in prossimità delle elezioni. Il Biondo come un’Amia qualunque? Com’è che si dice a Palermo?, teatro


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