PALERMO – La connessione usata dai dipendenti comunali in smart working non è abbastanza sicura e quindi, fino a prova contraria, tutti torneranno a lavorare in presenza. La pandemia ha nuovamente acceso i riflettori sul ‘lavoro agile’ e il comune di Palermo non fa eccezione: il Segretario generale Antonio Le Donne ha emanato l’undicesima direttiva che consente di lasciare a casa fino al 49% del personale.
Ma fra le pieghe del provvedimento spunta anche un’altra novità: la connessione Vpn, cioè quella usata da buona parte dei lavoratori, non sarebbe sicura e quindi non è più utilizzabile. Una disposizione che ha fatto saltare sulla sedia molti dirigenti non solo perché è stata praticamente usata per due anni senza che nessuno obiettasse nulla, ma soprattutto perché, in mancanza di alternative e con i contagi in ascesa, lo smart working è praticamente impossibile.
Almeno di questo avviso è il Ragioniere generale, Bohuslav Basile, che qualche giorno fa ha inviato una nota al sindaco Leoluca Orlando, alla giunta, al consiglio comunale ma anche ai dirigenti e ai sindacati per dire che negare le Vpn significa rendere impossibile il lavoro agile e quindi richiamare tutti in sede (ad eccezione di chi è considerato fragile) “nonostante la grave recrudescenza dei contagi e declinando fin d’ora ogni responsabilità derivante dall’aumento delle presenze in ufficio”.
E dire che lo scorso novembre la Sispi, ossia la partecipata comunale che si occupa di informatica, aveva assicurato di aver rafforzato i livelli di sicurezza dei dati anche per le connessioni Vpn, cioè quelle che collegano il computer di casa con quello dell’ufficio proteggendo il traffico in entrata e in uscita. Una tecnologia largamente diffusa e che, come scrivono gli uffici, è usata dalla “quasi totalità dei dipendenti della nostra Amministrazione per il lavoro agile”. Peccato che uno dei Dpcm governativi, e per la precisione quello dello scorso 8 ottobre, imponga di usare per lo smart working solo “strumenti tecnologici idonei a garantire la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni”.
Così la Sispi è tornata sui suoi passi e la scorsa settimana, in risposta ad alcuni quesiti posti dall’Amministrazione, ha messo nero su bianco che gli unici strumenti sicuri per lavorare da casa sono il cloud (come gmail o pec) o strumenti web, ma non l’accesso Vpn. E così il Segretario generale ha prescritto di escluderlo “al momento attuale e fino a quando non saranno realizzate le condizioni per procedere alla distribuzione dei dispositivi ai dipendenti da parte dell’Amministrazione, oppure sia rinvenuta la possibilità di risolvere tecnicamente la criticità”.
Un invito che il Ragioniere vorrebbe fosse rivisto (“appare necessario consentire l’utilizzo del Vpn fino alla distribuzione dei dispostivi o alla prospettata risoluzione tecnica”) anche se, a causa di un caso di positività, ieri i lavoratori sono rimasti a casa continuando a usare la Vnp, visto che non ci sarebbe alternativa, e fino a disposizione contraria. Un copione che potrebbe ripetersi anche per le sanificazioni, quando i dipendenti rimarrebbero forzatamente a casa senza poter far nulla.
Contro la direttiva si schiera la Cgil giudicandola “inesatta” e quindi da modificare: “Il transito delle informazioni avviene in modalità ‘invisibile’ pur sfruttando internet – scrivono Lillo Sanfratello e i componenti Rsu – Nelle more che Sispi trovi la soluzione tecnologica, accogliendo il nostro consiglio di una autenticazione a due fattori, si chiede di autorizzare tutto il personale a svolgere lo smart working evitando probabili forme di contagio”.