PALERMO – Contro la “demonizzazione della civiltà giuridica”, perché non tutto può essere liquidato con la parola “cavillo legale”. Come se dietro la scarcerazioni ci fosse la capacità degli avvocati di aggirare le regole con chissà quali trucchetti.
È questo il senso dell’intervento dell’Unione delle Camere penali italiane e di quella di Palermo sulle scarcerazioni decise nei giorni scorsi dalla Corte di appello che tante polemiche, soprattutto politiche, hanno provocato.
Prima i fedelissimi di Messina Denaro e poi il boss palermitano Giuseppe Corona sono stati scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare nonostante le condanne. Gli avvocati sono intervenuti in difesa dei giudici.
“Irrituali contestazioni”
“Le irrituali contestazioni rivolte a due provvedimenti di scarcerazione per decorrenza dei termini emessi da una Sezione della Corte di Appello di Palermo hanno ancora una volta disvelato – scrive la giunta nazionale dell’Unione presieduta da Francesco Petrelli – una profonda insofferenza di talune istanze politiche rispetto a due principi cardine del nostro ordine costituzionale: la separazione dei poteri e la positivizzazione del diritto”.
“La politica grida allo scandalo”
“A fronte di fisiologiche ordinanze di scarcerazione per superamento dei termini massimi di custodia cautelare, istituto eccezionale rispetto alla regola che prevede che l’imputato, il presunto innocente, debba rispondere da libero nel processo – prosegue – la politica (da destra a sinistra) ha reagito gridando allo scandalo, etichettando la decisione come ‘burocratica’ e finendo con il demonizzare principi di civiltà giuridica: ‘cavilli tecnico giuridici, vuoti normativi, tecnicismi giuridici, falle del sistema giudiziario, cavilli legali’. Inneggiando, in conclusione, ad una imminente (ed ennesima, sic!) riforma del sistema giudiziario”.
Insomma ai penalisti non va giù la “ricostruzione che attribuirebbe addirittura al difensore il ruolo di colui che mette alle strette il magistrato di turno con le proprie istanze, e non un veicolo per l’attuazione del giusto processo. Giusto perché conforme al dato normativo. Giusto perché quelli definiti dispregiativamente come ‘i cavilli’, sono i pilastri su cui si fonda il sistema che mira a preservare le libertà fondamentali dall’arbitrio dello Stato”.
“No ad un processo precostituito”
Secondo la giunta della Camera penale, di cui fa parte anche il siciliano Luigi Miceli, e l’osservatorio “Doppio binario e giusto processo”, i cui responsabili sono Maria Tersa Zampogna e Cesare Placanica, “a muovere propagande quali la necessità di una più celere conclusione dei processi contro i mafiosi ci sia un’idea di fondo ben chiara: la concezione finalistica ed afflittiva del processo penale in sé; di un processo penale che avanzi per presunzioni; di un processo perfettamente precostituito in fase di indagini preliminari che dovrebbero – e agli occhi di molti evidentemente lo sono – essere già di per sé sufficienti al punto tale da ritenere certamente colpevoli i destinatari di misura cautelare custodiale – e non solo- e di indignarsi quando anche a costoro vengono applicate quelle ormai minime e residuali regole di garanzia del giusto processo; di un processo altro”.
“Patologica invasione di campo”
C’è chi ha anticipato un’interrogazione al ministro della Giustizia, dimostrando, secondo la Camera penale, “la patologica tendenza all’invasione di campo da parte del potere esecutivo nei confronti del potere giudiziario. Con grave pregiudizio per un pilastro della civiltà giuridica: l’autonomia della giurisdizione. Il problema è l’inadeguatezza (una cosa è la critica tecnico giuridica del provvedimento, altro la delegittimazione pregiudiziale di chi lo ha emesso) di chi parla senza conoscere la grammatica delle istituzioni democratiche né delle regole applicate dal Giudice”.
Il vero problema, secondo i penalisti, è un altro e finisce per passare sotto silenzio: “Contestazioni aggravate, poi ritenute insussistenti in corso d’opera, ma che in fase preliminare permettono l’uso – o l’abuso – di strumenti processuali coercitivi che dovrebbero almeno avere una portata e una durata limitati. La vera inadeguatezza risiede nelle regole che consentono che un presunto innocente subisca carcerazione preventiva per la durata complessiva, inconcepibile e smisurata, fino a 6 o addirittura 9 anni, mortificando così i diritti di libertà”.
La Camera penale di Palermo
Sul caso interviene anche Vincenzo Zummo che è presidente della Camera penale di Palermo: “Rispetto a questo tam tam giustizialista l’avvocatura di Palermo, e non è la prima volta, ha il compito istituzionale di difendere quei magistrati della giudicante che fanno il loro dovere applicando la legge. Questo è il vero stato di diritto. I magistrati quando emettono le sentenze hanno la solidarietà dell’avvocatura, a garanzia di una dialettica processuale e democratica corretta senza infingimenti securitari. I processi non si fanno nelle piazze me nelle aule di giustizia”.