PALERMO – “Se sono potente io siete potenti voialtri”. È il 10 maggio scorso quando Piero Polizzi, candidato al consiglio comunale di Palermo per Forza Italia, pronuncia queste parole. Il “voialtri” è riferito agli interlocutori che gli stanno di fronte: Agostino Sansone e Manlio Porretto.
Il primo, 73 anni, è un mafioso della potente famiglia dell’Uditore alleata di Totò Riina. Il secondo ha 67 anni e seppure incensurato, secondo l’accusa, farebbe parte di Cosa Nostra. Tutti e tre sono stati arrestati per scambio elettorale politico-mafioso.
I poliziotti della squadra mobile hanno ascoltato in diretta la stipula del patto. Sansone, Polizzi e Porretto sono stati intercettati il 10 maggio 2022. Il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Giovanni Antoci e Dario Scaletta li hanno iscritti nel registro degli indagati il 23 maggio, chiedendo subito una misura cautelare.
A quel punto il giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto ha valutato con urgenza la richiesta di arresto per “scongiurare il pericolo che il diritto-dovere del voto per le imminenti elezioni amministrative del 12 giugno sia definitivamente trasfigurato e merce di scambio assoggettata al condizionamento e all’intimidazione del potere mafioso”.
“Ne deriverebbe difatti la conseguente grave violazione del principio del metodo democratico – aggiunge Montalto – del quale il libero e incondizionato esercizio del voto costituisce il caposaldo”.
Poche parole intercettate dai poliziotti. Una chiacchierata veloce che “appare rivelatrice di un ritorno ad un passato non lontano, quello di Cosa Nostra e dei suoi rapporti con il mondo della politica e di altri settori nevralgici del paese, in primo luogo quello degli imprenditori, che ha segnato la storia anche quella più recente del Paese”.
Il ritorno al passato è rappresentato da Agostino Sansone, già condannato per mafia e fratello di Giuseppe e Gaetano tra i più fedeli e fidati favoreggiatori di Totò Riina. Ai boss dell’Uditore apparteneva la villa di via Bernini dove il padrino corleonese trascorse l’ultima parte della sua latitanza.
Agostino Sansone ha da tempo finito di espiare una condanna per mafia. Al momento stava scontando una pena agli arresti domiciliari per alcuni reati economici.
L’incontro del 10 maggio avviene in un ufficio a disposizione di Polizzi, dipendente di Riscossione Sicilia, in via Casalini, nel rione Passo di Rigano. Il dialogo inizia con Polizzi che si mette a disposizione di Sansone Sansone affinché ottenga un appuntamento con una terza persona non meglio specificata.
“Dobbiamo cercare a quello – dice Polizzi – ma lo dobbiamo andare a trovare, che fai per telefono”. “No, no, no”, risponde Sansone. Prudenza impone che non si parli al telefono. Chi è il personaggio che Sansone vuole incontrare? Di sicuro Polizzi spiega che “l’ufficio è aperto di mattina”.
Il 2 giugno Sansone avrebbe finito di scontare la pena. Polizzi si candida ad accompagnarlo dopo le elezioni: “… il 12 dobbiamo aspettare… bordello c’è… il 14, 15 ci andiamo che problema abbiamo”. Poi fanno riferimento a qualcuno “fortissimo in tutta Palermo”.
“E per questo siete venuti?”, chiede Polizzi. “A parte per questo per una serie di cose”, risponde Sansone.
Il dialogo si fa esplicito Polizzi: “Se sono potente io siete potenti voialtri”. “Ma io lo sapevo… non è che non lo sapevo”, dice Porretto. Il candidato di Forza Italia abbassa il tono della voce e ripete la frase scandendo lentamente le parole: “Se sono potente io siete potenti voialtri”.
Quindi iniziano a parlare di un politico “messo male” e “non ben visto”. Un politico disposto a pagare per avere in cambio i voti: “Questo viene… ti dice quanto vuoi”.
Polizzi è fiducioso per le elezioni (“Buono, nel senso che ce la facciamo”). La fiducia deriva, annota il giudice, “anche in ragione del consenso ottenuto con l’aiuto di Eusebio Dalì, vicedirettore dell’Azienda Siciliana Trasporti: “… perché con mio zio Eusebio ho fatto un sacco di cose dduoco all’Ast… quando hai bisogno all’Ast”. Polizzi ha stampato i manifesti in tandem con un’altra candidata, Adelaide Mazzarino, moglie di Dalì. “La candidata di Miccichè… tutta Palermo a lei deve votare”, dice Polizzi. Mazzarino non è coinvolta nelle indagini.
Il candidato usa parole esplicite davanti a Sansone: “Hai risolto il problema nella tua vita… noi altri ci dobbiamo addattare dduoco e lo dobbiamo risolvere… aiutami che tu lo sai che ti voglio bene e tu lo sai che io quello che posso fare lo faccio”. Usa la parola “addattare”: come il bimbo allatta al seno della mamma, così loro faranno una volta vinte le elezioni. In ballo c’è la storia di un “cantiere”.
Finisce la riunione. Sansone e Porretto salgono in macchina. “Però ci siamo stati iunco… ci siamo calati alla china”, dice Porretto. Indica la capacità di resistenza della famiglia mafiosa dell’Uditore. Nonostante le numerose condanne, le dichiarazioni dei pentiti e i sequestri la famiglia si è piegata ma non spezzata. Proprio come come un giunco, pianta nota per la sua flessibilità.
Secondo Sansone, i tempi ora sono maturi per tornare ad alzare la testa: “Abbiamo tutte le carte in regola Manlio… un cristiano solo non vale neanche una lira…. l’unione fa la forza… ci dobbiamo mettere in piedi da questo punto di vista in piedi”.
Porretto lo invita alla chiamata alle armi: “Per quanto riguarda questo discorso riunisci a tutti i tuoi parrocchiani e ci dici a questa persona…”. L’ordine di scuderia deve essere vota Polizzi: la Procura ha arrestato la sua corsa elettorale.