Palermo, "Lipari ha ucciso Di Giacomo": l'amore oltre il processo

“Lipari ha ucciso il boss Di Giacomo”: l’amore va oltre il processo

Onofrio Lipari e Giuseppe Di Giacomo
Il figlio della vittima è fidanzato con la nipote dell'imputato

PALERMO – Il primo a salire sul banco dei testimoni è il colonnello Salvatore Di Gesare, il carabiniere che ha coordinato le indagini che hanno portato all’arresto dell’unico imputato. Al via in Corte di assise a Palermo il processo nei confronti di Onofrio “Tony” Lipari, accusato di avere ucciso il boss Giuseppe Di Giacomo.

Secondo la Procura di Palermo, l’omicidio servì per sbarazzarsi di un capomafia ingombrante e consolidare il potere del boss Tommaso Lo Presti a Porta Nuova. E così il 12 marzo 2014 Lipari “in concorso con altri soggetti”, mai identificati, avrebbe inseguito Di Giacomo in sella ad uno scooter e lo freddò in via degli Emiri, alla Zisa.

Lipari ha sempre respinto le accuse. Mai avrebbe potuto uccidere un uomo che considerava come “un secondo padre”. Non ci sono parti civili al processo. Molto raramente accade che si costituiscano i familiari di un boss ucciso. Stavolta c’è un motivo in più. Il figlio di Di Giacomo è fidanzato con la nipote di Onofrio Lipari. La relazione continua.

Lipari deve anche difendersi dall’accusa di avere minacciato la figlia e la moglie. Andò su tutte le furie quando seppe che la ragazza si era fatta un tatuaggio. “Appena esco ve ne andate perché vi ammazzo a tutti, proprio il tatuaggio non lo doveva fare“, urlava al cellulare che aveva a disposizione in carcere, prima a Larino e poi a Frosinone.

Stava scontando una condanna per mafia. Poco prima di tornare in libertà arrivò la nuova ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio.

Hanno avuto un peso le dichiarazioni di Alessio Puccio, picciotto della manovalanza di Cosa Nostra e collaboratore di giustizia. Raccontò che durante un periodo di comune detenzione a Pagliarelli, nel 2014, apprese da Fabio Pispicia che “Tony” Lipari era stato l’esecutore materiale dell’omicidio.

Il mandante sarebbe stato il cognato Tommaso Lo Presti, il quale avrebbe chiesto a Pispicia di distruggere lo scooter con cui Lipari aveva inseguito la vittima e la pistola da cui partirono i colpi mortali. Per Lo Presti non sono stati trovati i riscontri necessari per incriminarlo.

Pispicia avrebbe svelato a Puccio anche il movente del delitto: “Era da ricondursi agli assetti interni al mandamento di Porta Nuova e al contegno eccessivamente autoritario di Di Giacomo”. Era diventato “troppo assoluto… si sentiva onnipotente”. Aveva litigato con Lo Presti e lo aveva addirittura preso a schiaffi.


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