PALERMO – L’elenco degli imputati si apre con il nome del boss Michele Micalizzi, 74 anni. Sarebbe stato lui a guidare la famiglia mafiosa di Tommaso Natale.
L’elenco degli imputati
Al via l’udienza preliminare per quattordici imputati: oltre al figlio di Micalizzi, Giuseppe, ci sono anche Gianluca Spanu, Domenico Caviglia, Amedeo Romeo, Rosario Gennaro, Matteo Pandolfo, Gaetana Mulieddo, Vincenzo Garofalo, Carmelo Cusimano, Giuseppe Guida, Francesco Nappa, Ivan Meli e Gioacchino Randazzo.
L’accusa è rappresentata dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai sostituti Giovanni Antoci e Felice De Benedittis, che coordinarono il blitz dei carabinieri.
Che Micalizzi senior fosse tornato in pista emergeva già nel 2017 dalle parole del reggente del mandamento Giulio Caporrimo, che nei suoi sfoghi diceva che qualcuno che ce l’aveva a morte con Micalizzi per la sua anarchia: “… io sto capendo che tu vai girando ovunque con quale autorizzazione al mandamento non si capisce…“.
Rapporti con gli inzerillo
Michele Micalizzi, dunque, girava. Il suo è un nome della vecchia mafia. I boss hanno aspettato la fine dell’era corleonese per rifasi sotto. Con lui discuteva Tommaso Inzerillo nel 2017 uno degli scappati della guerra di mafia.
Gli spiegava che si era attivato affinché anche al cugino Francesco Inzerillo, per lui era già avvenuto, venisse perdonata la sua appartenenza alla mafia perdente, schiacciata dai corleonesi negli anni Ottanta.
Tommaso si era rivolto ai boss che comandavano su Palermo per superare il diktat di quel “cornutone” di Nino Rotolo, boss ergastolano di Pagliarelli, il principale oppositore al rientro degli scappati caldeggiato da Salvatore Lo Piccolo, boss di San Lorenzo.
Al fianco dell’anziano boss si sarebbe mosso Gianluca Spanu. Dopo lunghi periodi trascorsi in carcere Domenico Caviglia ed Amedeo Romeo sarebbero rientrati nelle famiglie dello Zen e di Tommaso Natale, mentre Rosario Gennaro, avrebbe ricoperto il ruolo di soldato alle dipendenze di Romeo.
Lite fra fratelli
A Carmelo Cusimano viene contestato il tentato omicidio del fratello Anello. Si è salvato perché si è spezzata la lama del coltello. Sono entrambi fratelli di Giuseppe Cusimano, reggente assieme a Francesco L’Abbate della famiglia mafiosa dello Zen.
Fu necessario l’intervento di Michele Micalizzi e Salvo Genova, boss di Resuttana, per mettere a tacere la furiosa lite.
Matteo Pandolfo assieme a Gennaro si sarebbero passati il testimone per taglieggiare una decina di ristoratori di Sferracavallo e Mondello. Avrebbero imposto protezione e forniture di pesce e frutti di mare: “Vedi che per ora il guardiano sono io qua… mi ha mandato pure il messaggio che ci sei scritto pure tu… se a me Amedeo mi dice di andare…”, diceva Gennaro.
I ristoratori chiedevano protezione
A volte erano gli stessi ristoratori a chiedere la protezione. I boss evitavano la concorrenza di possibili nuove aperture, mettevano a tacere qualche testa calda che faceva baldoria nei locali e si mettevano al riparo da furti e rapine.
“Gentilmente a che sei qua se puoi passare di là e dargli un’occhiata”, chiese un ristoratore a Gennaro che si confidava con un’amica: “Gli ho detto sì certo che lo posso fare, 150 euro per come pagano gli altri paghi tu”.
“Un bordello di soldi”
Gli affari andavano bene. Una volta la moglie di Gennaro trovò “un bordello di soldi” nel portafoglio e il “guardiano” le spiegò che “non sono tutti i miei”. Poi si gonfiava il petto: “Volevo arrivare all’intento che si devono spaventare a Sferracavallo di me… ci sono arrivato”.
Vincenzo Garofalo e il figlio di Michele Micalizzi avrebbero minacciato di morte e picchiato un uomo che aveva rubato un’auto senza autorizzazione: era la macchina della moglie di Micalizzi. “L’ho macinato”, dicevano. Giuseppe Guida e Francesco Nappa avrebbero imposto il cavallo di ritorno: soldi per restituire la macchina rubata a una donna.