Palermo, "la belva, i pilastri e gli altri boss": mafia, 24 condanne

“La belva, i pilastri e gli altri boss”: mafia, 24 condanne a Porta Nuova

Il boss Tommaso Lo Presti
Per la prima volta parte civile gli operai di un'impresa edile

PALERMO – Le condanne sono pesanti e colpiscono anche coloro che venivano definiti “i pilastri” della mafia di Porta Nuova: Tommaso e Calogero Lo Presti, zio e nipote, volti noti alle cronache giudiziarie. Sono stati condannati rispettivamente a 20 e 16 anni di carcere.

Gli imputati davanti al giudice per l’udienza preliminare Cristina Lo Bue erano 28 fra capi e picciotti. Il processo nasceva dal blitz dei carabinieri denominato “Vento” del luglio 2022. L’accusa era rappresentata dai procuratori aggiunti Paolo Guido e Marzia Sabella e dai sostituti Giovanni Antoci, Luisa Bettiol e Gaspare Spedale. C’è un’importante novità: per la prima volta erano costituiti parte civile i lavoratori di un’impresa edile, i primi a subire le minacce degli uomini del racket che si presentano nei cantieri. Al loro fianco l’avvocato Salvatore Caradonna di Addio pizzo.

Gli imputati e le pene

Questo l’elenco degli imputati e le pene: Tommaso Lo Presti 20 anni, Calogero Lo Presti 16 anni, Giuseppe Giunta 20 anni, Domenico Lo Iacono 14 anni, Salvatore Di Giovanni 14 anni, Antonino Ventimiglia 18 anni e sei mesi, Roberto Verdone 20 anni, Nicolò di Michele 20 anni, Giuseppe D’Angelo 13 anni, Massimiliano D’Alba 12 anni, Salvatore Incontrera 18 anni e 4 mesi, Antonino Fardella 12 anni e 8 mesi, Antonino Stassi 17 anni e tre mesi, Andrea Damiano 20 anni, Gioacchino Pispicia 12 anni e 10 mesi, Gaetano Verdone 17 anni e 9 mesi, Maria Carmelina Massa 12 anni e 8 mesi, Antonino Bologna 7 anni e 4 mesi, Leonardo Marino 17 anni e 9 mesi, Filippo Burgio 20 anni, Vito Lo Giudice 7 anni e 10 mesi, Francesco Domina 3 anni e 4 mesi, Francesco Cerniglia 4 anni e 8 mesi, Antonino Talluto 4 anni e 4 mesi.

Assolti Giorgio Stassi (difeso dall’avvocato Michele Rubino); Gaetano, Francesco e Marco Verdone (avvocato Michele Rubino), Gioacchino Fardella (difeso dall’avvocato Silvana Tortorici).

Zio e nipote al comando

Tommaso e Calogero Lo Presti erano tornati liberi dopo una lunga detenzione. Del più anziano Calogero, che tutti chiamano “zio Pietro, Giuseppe Incontrera diceva “una belva è”. Verso di lui tutti mostravano riverenza: “Tutti ci vannu a liccuniari”. Incontrera fu assassinato pochi giorni prima del blitz, in cui furono arrestati e ora condannati la moglie Carmelina Massa e il figlio Salvatore. Calogero Lo Presti fece un passo indietro per lasciare il potere al nipote Tommaso, che decideva tutto, persino il prezzo di vendita della porchetta. Tra i condannati anche Filippo Burgio che meditava la vendetta per la morte del figlio Emanuele assassinato alla Vucciria.

Lavoratori parte civile

Tra le parti civili c’era il comitato Addiopizzo che in una nota spiega: “Il processo nell’ambito del quale l’autore delle estorsione è stato condannato mentre il presunto mandante assolto, costituisce un fatto senza precedenti dato che per la prima volta in giudizio oltre al titolare dell’impresa edile anche i suoi lavoratori, destinatari di intimidazioni prontamente denunciate, si sono costituiti parte civile con l’ausilio di Addiopizzo”.

“L’imprenditore e gli operai hanno infatti raccontato, ricostruendo i fatti con dovizia di particolari – spiegano da Addiopizzo – l’asfissiante strategia estorsiva subita e sfociata anche nelle ripetute minacce di interrompere i lavori di ristrutturazione di un immobile situato nel mandamento mafioso di Porta Nuova. Una storia che seppure abbia un lieto fine racconta in controluce la persistenza del fenomeno estorsivo nel settore dell’edilizia dove c’è bisogno che le organizzazioni datoriali del comparto e i sindacati di riferimento si facciano concretamente sentire nei confronti dei loro iscritti”.

“Concorrenza sleale”

Addiopizzo sottolinea che “ci sono aree della città e della provincia di Palermo dove imprenditori e operai hanno serie difficoltà a lavorare dato che altre imprese edili in cambio delle estorsioni pagate si accaparrano forniture e lavori con la protezione di Cosa nostra. Tale fenomeno non può essere ignorato visto che oltre a colpire chi vuole fare impresa sana e lavorare onestamente, altera e sterilizza le regole del libero mercato e della concorrenza anche a danno dei cittadini-consumatori. I processi, celebrati negli ultimi due decenni grazie al lavoro di magistrati e forze dell’ordine e con l’ausilio di associazioni realmente operative, raccontano che a Palermo sono maturate centinaia di denunce di operatori economici che si sono opposti a Cosa nostra e che dopo tale scelta sono riusciti a proseguire la loro attività economica in condizioni di normalità”.

Ha scelto il rito ordinario il terzo” pilastro” di Porta Nuova, Giuseppe Di Giovanni, consuocero di Incontrera, processato a piede libero per scadenza dei termini di custodia cautelare. È lo stesso procedimento in cui è imputato il latitante Giuseppe Auteri.


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