PALERMO – Il ritorno al traffico di stupefacenti ha segnato la nuova svolta economica della mafia palermitana. I boss arrestati nel blitz era sicuri di “comandare Palermo”. Hanno accumulato i soldi necessari per puntare “alla grande distribuzione” avendo ormai preso in mano il controllo dello smercio nell’intera città. Su tutti emergerebbe la figura di Tommaso Lo Presti, boss di Porta Nuova, scarcerato per fine pene. Ha fatto scalpore le cerimonia per le sue nozze d’argento celebrata nella chiesa di San Domenico, il pantheon dei palermitani illustri, dove è sepolto anche Giovanni Falcone.
La mafia gestisce direttamente delle piazze di spaccio oppure delega imponendo le forniture, una percentuale sulla vendita o, a volte, una tassa fissa scollegata dagli incassi. I boss vecchio stampo che guardano con disprezzo alla droga sono in minoranza. Anche loro capiscono che la droga è la chiave del potere. Anche Gino Mineo, boss di Bagheria, ha fiutato il business.
“Se fate l’affare porta qualcosa”
“Se fate l’affare porta qualche cosa gli dici… però stai attento, perché oggi domani, io vedi per ‘ste cose non mi ci sono mischiato mai, non ci sono entrato mai – diceva il capomafia del popoloso centro alle porte di Palermo – non è che mi voglio andare ad infangare poi con un po’ di fanghi. Tu così gli dici lascia qualche cosa… per il paese… per i cristiani… che hanno di bisogno”.
È grazie ai soldi della droga che la mafia ha provato a serrare i ranghi. Più soldi, più potere. I cellulari criptati servono soprattutto a gestire i traffici di stupefacenti. I diversi mandamenti hanno fatto cartello. Regola numero uno: il prezzo per le forniture è uguale per tutti.
“I bagni ci dobbiamo fare”
“Arrivando questo coso la settimana entrante… e ti devi organizzare per dove posarlo cose e poi smistarlo… in quattro, cinque colpi non te lo piazzi tu questo coso?”, chiedeva il reggente di San Lorenzo, Nunzio Serio (è uno dei detenuti raggiunti da una nuova ordinanza di custodia cautelare). Il suo braccio destro, Francesco Stagno, che invece era a piede libero, lo tranquillizzava: “… al volo… al volo… minchia ti dico appena mi arriva i bagni ci dobbiamo fare”.
“Trecento carte vero possiamo vuscare”, aggiungeva Serio. Cifra confermata da Stagno: “Una botta… trecentomila euro… trecentomila euro a botta”. Ed ecco il passaggio sul prezzo unico. “Noi dobbiamo fare una cosa se lo dobbiamo dare a uno dei mandamenti… lo dobbiamo dare a un prezzo – spiegava Stagno – perché va a finire che tra loro parlano… minchia che fa quello fa un prezzo e a quello fa un prezzo, manchiamo poi tanti, poi andiamo a rompere… manchiamo di serietà, dobbiamo fare un prezzo”.
E Serio svelava la rotta della droga: “… questi sono tutti gli orari, per quello della Spagna… dice dentro il porto… dice se mi riesce ad alzare il container… che mi riesce… compa’… dice vi faccio comandare Palermo… mio fratello Mimmo mi ha fatto vedere… dice lo vedi a che ora arriva a Gioia? Mi fa… dentro il porto… della famiglia di lui … i Piromalli… i Mule’ e… di Rosarno i Bellocco…”.
Il debito di 300 mila euro
Il 16 maggio 2024 Francesco Stagno, in compagnia di Mario Ferrazzano, fu intercettato mentre inviava messaggi via chat a Stefano Comandè “il Comandè… piazza Ingastone?… Stefano il Comandè”, considerato l’emissario del mandamento di Porta Nuova. E leggeva le risposte ad alta voce.
I due mandamenti si stavano confrontando su un debito di circa 300 mila euro, maturato nei confronti della famiglia mafiosa di Agrigento da parte del mandamento di Tommaso Natale. Nunzio Serio si era visto bloccare le forniture, fatto per cui il mandamento di Porta Nuova si riprometteva di intervenire (“ma dobbiamo mettere punto a questa faccenda per bene di tutti”)
Comandè sottolineava l’importanza dell’unità facilitata dal profondo rapporto di fiducia tra i rispettivi capi, Nunzio Serio, per Tommaso Natale-San Lorenzo, e Masino Lo Presti, per Porta Nuova. Stagno leggeva il suo messaggio: “ … poi la cosa importante che a me interessa molto di più questa cosa oggi è importante per tenere unione tra noi fra tutti, non c’è nessuno impegno che magari uno scende la mattina e si va prendendo i pensieri degli altri, siccome entrambi sappiamo… siccome entrambi sappiamo che papà e Nunzio… papà e Nunzio si amano… Masino e Nunzio… si amano e di conseguenza ci amiamo anche noi… e di conseguenza noi”.
Il ruolo sovraordinato del boss Lo Presti
Lo Presti aveva un ruolo sovraordinato. Tommaso Spataro non era particolarmente d’accordo: “Con tutto il rispetto per Masino… il suo quartiere ce l’ha, il Lo Presti quello che hai detto tu… lo zio Masino… che lui voleva fare… tutte le piazze… ma lui il suo quartiere ce l’ha… noi siamo qua morti di fame”.
Stagno, però, sottolineava l’assoluta legittimità di quella eccezione perché Lo Presti, reduce da anni di carcere, non era, a differenza dei suoi omonimi parenti, “uno qualunque”: “… non c’entra niente che è il suo… lui ce l’ha… lui è uscito pure ora un terremoto d’anni e lui… non è uno qualunque.. lui ha le chiavi… lui ha le chiavi di ovunque e lui è l’unico… il primo… tutto il resto si sono presi il nome, si sono presi i cognomi e si sono presi tutto quello che lui ha seminato… tutti omonimi, parenti per rispetto, per rispetto e camminano… ma lì il primo e l’unico è lui”.
Il pentito di Brancaccio
Il pentito di Brancaccio, Rosario Montalbano, ha confermato che i mandamenti hanno fatto cartello: “Nel 2019 un giorno mi chiama, e dice: lo sai,… dice che stanno facendo una riunione.. Viene da questa riunione, e mi dice: dice, lo sai… siamo andati ad una riunione (..) perciò in sostanza dice, quattro mandamenti hanno deciso dice che alla Roccella dice la sostanza stupefacente la cocaina, la dobbiamo uscire solo noi, gli appartenenti della Roccella…”.
Livesicilia ha pubblicato i suoi verbali:
PARLA IL NEO PENTITO
IL RACCONTO DEL PENTITO DI BRANCACCIO
DROGA, GLI AFFARI DI TRE MANDAMENTI