PALERMO – “Mio padre sta male, tenerlo in carcere è un incomprensibile accanimento”, dice Antonino Cinà che ha contatto la redazione di Livesicilia. Si tratta del figlio di Gaetano Cinà, che sta scontando una condanna a 14 anni per il duplice omicidio di Vincenzo Chiovaro e Antonino Lupo.
Furono massacrati a coltellate nella piazza del Borgo Vecchio, a Palermo, il 23 aprile 2002, ma gli arresti arrivarono sette anni dopo. Stessa pena è stata inflitta ad un altro figlio, Gaetano. Le vittime rubavano scooter e poi chiedevano il riscatto. Un giorno si portarono via il mezzo di uno dei Cinà. Arrivarono alle mani, i due imputati presero un coltello dalla bancarella di un pescivendolo e uccisero le vittime. Così è stato stabilito con la ricostruzione della Procura di Palermo e dei poliziotti, resa definitiva dalla Cassazione.
“Rispetto la sentenza, ma oggi il problema è un altro. Mio padre sta male, lo dicono pure i medici. Da sette mesi è in infermeria al carcere Pagliarelli, a casa potremmo curarlo”, aggiunge il figlio.
Il legale di Cinà, l’avvocato Toni Palazzotto ha fatto diverse istanze al Tribunale di sorveglianza, accolte in primo grado ma respinte in secondo. Cinà, già cardiopatico, è stato colpito da ischemia e soffre di insufficienza respiratoria e apnee notturne. Così si legge in una relazione sanitaria della Medicina legale dell’Asp di Palermo del luglio 2020. Un’altra relazione, datata febbraio 2021, del ministero di Grazia e Giustizia “ribadisce l’incompatibilità con il regime detentivo”.
Altri consulenti, al contrario, hanno stabilito che Cinà può restare in carcere e i giudici hanno sempre concluso che al Pagliarelli può ricevere tutte le cure necessarie. In caso di necessità verrebbe trasferito in ospedale come è accaduto di recente per quindici giorni.
Il fine pena del detenuto è previsto per ottobre 2024. Durante la prima ondata Covid, quando si temette che un eventuale diffusione della pandemia in carcere potesse creare conseguenze pericolose, sia sanitarie che di ordine pubblico, gli sono stati concessi gli arresti domiciliari per un paio di mesi. Ora è di nuovo detenuto al Pagliarelli.
CREDO SAREBBE OPPORTUNO CHE IL COMANDANTE GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI, GENERALE DI CORPO D’ARMATA, TEO LUZI, COSÌ COME HA FATTO PER IL CASO CUCCHI, PER ESEMPIO, ROMPESSE IL SILENZIO E DICESSE DUE PAROLE, ANCHE DI CIRCOSTANZA, SUL CASO IN ESAME. COSÌ, FORSE, LA FAMIGLIA ED IN PARTICOLARE LA VEDOCA DEL MARESCIALLO, SI SENTIREBBERO MENO SOLI. DALTRONDE IL DEFUNTO ERA UN CARABINIERE E NON UN CARABINIERE QUALSIASI, UNO CHE HA PORTATO LUSTRO ALLA BENEMERITA E QUINDI SAREBBE OPPORTUNO CHE IL GENERALE LUZI, DICESSE, COME PER IL CASO CUCCHI, CHE I RESPONSABILI, QUALORA INDIVIDUATI, PAGNERANNO. L’ARMA LO DEVE ALLA FAMIGLIA LOMBARDO. IMPERATIVO CATEGORICO:- USCIRE DAI RUMOROSI SILENZI CHE CELANO UN’OMERTA’ DI STATO, INTOLLERABILE.
ED IO SO BENISSIMO CHE IL GENERALE LUZI NON È UN OMERTOSO, QUINDI, ATTENDIAMO