PALERMO – C’era la fila per chiedere piccoli e grandi favori ai boss. I commercianti erano i primi a riconoscere l’autorità mafiosa. E i mammasantissima dei vari mandamenti della città si davano un gran da fare per accontentare le richieste. Ne valeva e ne vale del loro prestigio.
Le ultime inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Palermo fotografano, ancora una volta, sacche di città che faticano a voltare pagine. C’è chi non ha alcuna intenzione di affrancarsi. Risultato: i mafiosi continuano a regolare la vita di interi quartieri. Stabiliscono chi deve vendere un prodotto, autorizzano l’apertura di nuove attività e frenano la concorrenza, risolvono contrasti fra i privati che chiedono aiuto.
Amedeo Romeo, influente mafioso di Tommaso Natale, aveva raccolto le lamentele di alcuni ristoratori di Sferracavallo per il comportamento di Salvatore Randazzo, parecchio pressante nel volere imporre la vendita dei frutti di mare. Romeo fu piuttosto chiaro: “Tu che vuoi fare… ghiaccio, questo, quello… no… allora te ne vai da un’altra parte… venditi il ghiaccio e non ci rompere la m…”. Per la cronaca: cozze e vongole serviti nei locali avevano comunque il marchio Cosa Nostra.
I mafiosi si sarebbero intromessi per la risoluzione delle beghe di vicinato legate al posizionamento delle pedane di legno di due lidi a Barcarello. “Una pedana… una di lui e una è di un altro…”, diceva Paolo Lo Iacono considerato affiliato alla famiglia mafiosa dello Zen.
Ci furono diversi incontri prima, durante e dopo la tormentata vicenda legata alla concessione degli spazi demaniali all’inizio frenata dall’assessorato regionale al Territorio e ambiente e poi sbloccata con un ricorso Tar.
“Ai tempi qua ci sono stati discorsi quando hanno aperto quelli… ma poi si accordò”, diceva Lo Iacono che si era attivato anche perché probabilmente sperava in un posto di lavoro per il figlio (“Dove dovevi andare a lavorare tu?”).
A Porta Nuova un tale “Ferdinando” fece sapere a Francesco Paolo Putano, altro personaggio coinvolto nel blitz, di avere acquistato il “posto” per vendere pane con la milza, ma aveva suscitato la protesta della “signora Franca”: “Io gli voglio fare un bel panino con la milza giusto è? Ora la signora Franca si è lamentata… quella della salumeria” che vende “pure il polipo”.
“Tu pane qua non ne metti perché mi ammazzi a me”, le avrebbe detto la donna. A quel punto Ferdinando si era rivolto a Putano: “Gli deve fare vincere questo conto…?”. Insomma chiedeva di mettere a tacere la donna. “Ora vediamo…”, diceva Putano.
Il titolare di un’impresa di prodotti ortofrutticoli aveva chiesto a Domenico Salerno (arrestato e scarcerato dal Riesame) di informare Alessandro Costa del rione Uditore: “È giusto che te lo faccio sapere Domenico, giusto?”. La questione era delicata visto che l’imprenditore voleva licenziare il genero di Rosario Angelo Parisi, altro personaggio sotto inchiesta.
Il dipendente di una sala da barba chiese aiuto a Giusto Catania, anche lui titolare di una barberia (è fra i 181 arrestati), informandolo di aver avuto una violenta lite all’interno di un condominio in via Piazza Armerina, a Borgo Nuovo. Aveva aggredito un vicino con un mattarello da cucina. Temendo conseguenze chiese a Catania di intervenire: tornò la pace e soprattutto nessuno chiamò le forze dell’ordine.
La sala da barba di Catania, in via Camillo Camilliani, viene considerata una base operativa del clan.
Qui si presentò “Santino”, titolare di una pizzeria-polleria che stava stava pagando a rate i soldi necessari per rilevare l’attività commerciale dal precedente gestore. Un terzo incomodo si era messo di traverso. Costa fece sapere che bisognava informare il nuovo potenziale acquirente che “già ci sono impegni… non è corretto una cosa del genere”.
Lo stesso Costa dirigeva il traffico delle nuove attività commerciali: “Domenico non ti prendere impegni per la pescheria… qua in zona non è che devi aprire solo tu… se c’è un altro prima di te che si è preso impegni che la sta facendo gliela fai pure accanto?”.
Un tale “Vincenzo” si era visto aprire una nuova attività a fianco della sua nella zona di via Leonardo da Vinci. Non era un concorrente, ma “aveva piazzato dalle fasce metalliche che coprivano l’insegna della sua attività”. Gli fu imposto di smontarle.
Un altro barbiere aveva sommessamente chiesto il permesso per piazzare uno stendardo pubblicitario. C’era “un palo”, posto ideale per “una bandiera”. Un venditore di fiori aveva messo gli occhi su un locale, ma ci teneva a precisare che “a me mi serve come magazzino… non mi serve per aprire il negozio di fiori perché io ho sempre la testa per dove posso andare…”. L’apertura di nuovi negozi di fiori in zona non era al momento prevista nel piano commerciale di Cosa Nostra.