PALERMO – Sono un deputato regionale, Giuseppe Gennuso, e i suoi familiari ad essere finiti nel mirino degli esattori di Cosa nostra. Quella del pizzo imposto alla sala bingo nel rione Guadagna, a Palermo, è una storia di paura e denuncia. I carabinieri del Ros stamani hanno arrestato il boss Cosimo Vernengo, il fratello Giorgio e Paola Durante, ex gestore del bar, accusata di avere materialmente intascato i soldi del pizzo.
Nel luglio del 1015 la sala bingo Magic Star di via Villagrazia cambia proprietario. La Eredi Burgio cede la società alla “Somalia Games srl”, amministrata da Riccardo Gennuso, e controllata dalla “Gestione immobili e servizi”. Socio di maggioranza di quest’ultima è il fratello di Riccardo, Salvatore, mentre il procuratore generale è il padre, Giuseppe Gennuso, deputato regionale di Cantiere Popolare.
Nel dicembre scorso l’onorevole siracusano e il figlio Riccardo si presentano al Comando provinciale dei carabinieri. Denunciano alcuni problemi con la gestione del bar. Dicono che gli incassi sarebbero stati versati a “due non meglio precisati fratelli indicati come titolari di fatto dell’esercizio”. Il 24 dicembre in caserma arriva Leonardo Burgio, ex proprietario della sala bingo e in quel momento sindaco di Serradifalco, nel Nisseno. È stato contatto da due giornalisti de Le Iene interessati a sapere se in passato avesse subito richieste estorsive. Si scopre adesso che l’onorevole, prima di rivolgersi ai militari, ha fatto delle confidenze a due giornalisti: i Vernengo hanno chiesto 50mila euro al figlio e allo stesso Burgio. Burgio, però, dice di non avere mai subito richieste estorsive. Racconta di avere affidato la gestione della sala bingo a Massimo Monti, imprenditore conosciuto nel settore, che aveva a sua volta affidato il bar ad una parente. Si tratta di Carmela Paziente, suocera di Giorgio Vernengo e zia di Monti, che non ha onorato il contratto di affitto. Insomma, non ha pagato.
A questo punto il 12 gennaio i carabinieri convocano il deputato Gennuso che conferma: il figlio Riccardo e un suo collaboratore hanno ricevuto la richiesta di 50.000 euro: “Giorgio (stavolta fa il nome di Giorgio Vernengo, ndr) ribadiva costantemente che il bar era di sua proprietà rivendicando anche quella delle attrezzature ivi contenute. Al contempo Giorgio avanzava a mio figlio una richiesta pari a 50.000 euro affinché lui gli cedesse il bar e non avanzasse più alcuna pretesa”. Il deputato racconta anche di incontri per trovare un compromesso fra Giorgio e il figlio che, esasperato, si era allontanato da Palermo, lasciando tutto in mano a un suo collaboratore.
Le pressioni e le richieste di denaro non sarebbero finite. A gennaio il quadro investigativo si completa anche grazie al giornalista de Le Iene, il siciliano Ismaele La Vardera. È lui a consegnare ai carabinieri alcune registrazioni. Sono gli audio degli incontri fra Riccardo Gennuso, Cosimo Vernengo e Paola Durante. Parlavano dell’assunzione della nipote di Salvatore Profeta al bingo: “È la nipote di un amico nostro… te la devi prendere… nella vita ci sono le eccezioni e questa è un’eccezione capisci a me… ti devo spiegare tutte cose? È della Guadagna… è nipote di un amico che ci tengo”.
Ed ancora ci sono gli audio in cui Cosimo Vernengo dice: “… il bar non è vostro…il bar è mio… cioè…vedi che Leonardo e Massimo (Leonardo Burgio e Massimo Monti, ndr)… le sappiano queste cose perché il bar lì è stato sempre nostro… lascialo stare quello che c’è scritto… quello che non c’è scritto”. Come dire, la parola contava più dei contratti scritti. E ci sono infine le registrazioni delle conversazioni fra il giornalista e il deputato Gennuso ben conscio della situazione (“Il mafioso è là dentro… nel bar”), ma anche timoroso: “La situazione… è da qualche settimana che ormai sta esplodendo perché io non ne posso più… io faccio attività parlamentare a Palermo…come faccio a…”. “Sei un uomo delle istituzioni non ti puoi… purtroppo non ti puoi creare questo problema”, gli diceva un amico. E lui ribadiva i suoi timori: “… e mi difende lo Stato a me… o mi lasca… difatti io sono del parere di chiudere”. Il giornalista allora incalzava il politico “… come… e allora la dà vinta ai mafiosi?…deve avere il coraggio di farlo…io a ventun’anni…senza avere nessuno e niente alle spalle…senza deputato e senza essere imprenditore…io li ho denunciati i miei capi mafia di Villabate…”. Nel maggio del 2016 i Gennuso, convocati dai carabinieri, confermano ogni passaggio della tormentata vicenda, aggiungendo nuovi particolari che finiscono nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice LOrenzo Matassa. Oggi il blitz coordinato dai pubblici ministeri Sergio Demontis, Francesca Mazzocco e Gaspare Spedale.