PALERMO – Si era ripreso il potere nel suo mandamento, Resuttana, ma Salvo Genova aveva il peso mafioso per farsi sentire anche nel resto della città. Nella notte è tornato in carcere nel blitz della squadra mobile che coinvolge 18 persone (16 in carcere e due ai domiciliari, tutti i nomi) e svela l’esistenza di una zona grigia fatta di professionisti – fra cui notaio e un commercialista – collusi con la mafia.
Assieme al boss sono stati arrestati anche il suo luogotenente, Sergio Giannusa; Benedetto Alerio, titolare della “Antica Polleria Savoca dei F.lli Alerio” di via San Lorenzo (accusato di mafia); il notaio Sergio Tripodo (ai domiciliari, è sospettato di concorso in tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso); il commercialista Giuseppe Mesia (mafia), che faceva da consigliere economico del capo mandamento; l’imprenditore edile Agostino Affatigato (concorso in tentata estorsione), e Giovanni Quartararo titolare di una serie di negozi di calzature (concorso esterno ed estorsione).
Il giudice per le indagini preliminari Fabio Pilato ha disposto il sequestro preventivo delle società “Almost food srls” e “Gbl food srls” che gestiscono gli esercizi commerciali “Antica polleria Savoca dei fratelli Alerio”. E poi c’è il controllo della mafia su alcune agenzie di pompe funebri che cercano di accaparrarsi i servizi per i defunti che muoiono all’ospedale Villa Sofia.
L’indagine coordinata da procuratore Maurizio de Lucia, dagli aggiunti Marzia Sabella e Paolo Guido, e dai sostituti Giovanni Antoci e Giorgia Righi svela la rete del pizzo, la disponibilità di armi e gli interessi economici dei mafiosi della parte occidentale della città. Genova avrebbe partecipato a importanti vertici con Giuseppe Greco, soprannominato il senatore, boss di Ciaculli, Giovanni Giordano della Noce, Giancarlo Seidita e Pietro Tumminia di Altarello.
Volto noto quello di Genova, di quelli che finiscono in carcere e una volta scontata la pena tornano subito in campo. Di strada ne ha fatto parecchia in Cosa Nostra. Negli anni Novanta era l’anonimo titolare di un’officina. Poi emerse il suo rapporto con Salvatore Lo Piccolo di San Lorenzo. Totuccio “il barone” nei suoi pizzini gli aveva affibbiato il nome in codice di “Honda”. Salvo Genova aveva concluso la sua scalata al potere piazzandosi nel gradino più alto dopo Giovanni Bonanno, inghiottito dalla lupara bianca nel 2006, e Diego Di Trapani, tutti designati dal boss Antonino Madonia, d’intesa con Lo Piccolo.
Per serrare i ranghi la mafia avrebbe attinto ancora una volta all’elenco degli scarcerati. Uno di questi è Salvo Genova. Qualche tempo fa il suo nome venne fuori in una vicenda che diventa indicativa alla luce del blitz della notte, coordinato dalla Direzione distrettuale antimafia. Il titolare di un’impresa stava costruendo una palazzina in via San Lorenzo. Per la riscossione del pizzo, denunciata dall’imprenditore, erano arrivati ai ferri corti Giuseppe Cusimano e Francesco Adelfio. Quest’ultimo non aveva gradito che qualcuno aveva eseguito gli scavi nel cantiere senza autorizzazione. Erano state disattese le indicazioni di Giulio Caporrimo, boss di San Lorenzo. Adelfio intervenne e fermò l’escavatore. Ci furono fibrillazioni fra i due mandamenti.
Ad un certo punto in cantiere si presentarono Cusimano, Adelfio e Salvo Genova. Cusimano era molto nervoso, affrontò a muso duro Adelfio, mettendogli una mano in faccia. Che ci faceva Genova? Gli imprenditori erano parenti del boss Vincenzo Graziano, a cui Genova è da sempre legato. Cusimano, accusato di essere il nuovo capo della famiglia dello Zen, aveva saputo che due soggetti “qualificati”, due “comandanti”, avevano scombinato i piani di Francesco Palumeri, il boss scelto come vice del capo mandamento di Tommaso Natale Calogero Lo Piccolo. Uno dei due “comandanti” sarebbe proprio Genova.