Quando Palermo – almeno quella porzione che era lì, ai Quattro Canti – ha visto il suo sindaco pro tempore, il professore Roberto Lagalla, in cima al carro del Festino, si è ricordata delle cose che non vanno e ha dato fondo alle confezioni di fischi. Che sono sempre meno dannosi dell’indifferenza. Ti fischio, perché mi aspetto qualcosa di meglio da te. Ti fischio, perché ti riconosco. Peggio sarebbe stato il gelido “non so fischiare” di craxiana memoria.
Si può discutere se sia opportuno ricoprire di dense fischiate (e anche, irricevibilmente, di volgarità e insulti) un momento dedicato alla Santuzza e alla devozione. C’è chi pensa che lo sia, altri, invece, no. Ma è vero che l’apparizione del primo cittadino per il consueto “Viva Palermo e Santa Rosalia” rappresenta una esposizione, soggetta al giudizio sonoro.
L’insoddisfazione ai Quattro Canti
Il palermitano convenuto nell’immaginifica aula di tribunale dei Quattro Canti – campione simbolico di tantissimi altri – non è soddisfatto. E ha le sue solide ragioni. Ecco la semplice constatazione. Ci sono traguardi che l’amministrazione Lagalla ha raggiunto. La vergogna del cimitero dei Rotoli, con le bare esposte, è stata superata. Pochi, in fondo, se ne occuparono, nel cinismo silenzioso della maggioranza. Tanto erano tutti morti.
I conti sono riemersi da una drammatica voragine. La manutenzione delle strade è avviata. L’ex rettore ha mostrato perfino coraggio politico, inizialmente in solitudine, difendendo il lavoro realizzato al Teatro Massimo e il sovrintendente Betta. Eppure, gli sarebbe venuto più comodo abbozzare. Perfino il sostegno al Pride, con consuetudinario rabuffo dei meloniani, ha sottolineato una radice di tenacia sotto il profilo soffice.
Roberto Lagalla, nonostante il contesto politico ingarbugliato, non è un sindaco che abbia scelto di interpretare il vaso di coccio per tirare a campare. Chi lo conosce, chi gli è vicino, sa che crede all’orizzonte di una rinascita della città. Che poi si riesca a realizzarlo è un altro discorso.
Palermo insicura
Palermo si sente insicura e lo è. Palermo si percepisce ancora ‘sgarrupata’ e lo è. Palermo, nonostante i passi in avanti della raccolta differenziata, si specchia sporca. La borgata marinara di Mondello, reginetta dell’estate, è precipitata nel caos. Le attività commerciali del centro storico chiedono aiuto contro l’abbandono. L’elenco delle doglianze è vasto e argomentatissimo.
Sul problema della sicurezza il sindaco è sembrato muoversi dentro una linea contraddittoria, passando da una valutazione tendente a escludere l’allarme alla riunione ‘emergenziale’ con il ministro Piantedosi, dopo una lettera al prefetto.
Il morale della storia, se ce n’è uno? Roberto Lagalla non è Leoluca Orlando che, da inarrivabile comunicatore, aveva il dono di escogitare una suggestione al giorno per allontanare gli sguardi dalle ferite, negli ultimi e infelici anni della sua sindacatura.
Il dissenso e il confronto
Il professore Lagalla si è presentato come un ‘politico del fare’, alla luce delle sue esperienze pregresse. Dunque, non ha altre opzioni: dovrà risolvere molti dei guai che riguardano direttamente l’amministrazione e contribuire a trovare terapie soddisfacenti pure per il resto, come la gestione della serenità pubblica, che chiama in causa, soprattutto, istituzioni collaterali.
A lui non sarà concesso il volo pindarico. Si misurerà con i marciapiedi e la pulizia. Su questo gli si riconosceranno risultati o si dovrà dichiarare un fallimento.
Tornado ai fischi: indicano un dissenso che merita l’approfondimento di un confronto. Lo ha riconosciuto lo stesso primo cittadino, non demonizzando le critiche come accadeva in passato. Ma bisogna andare oltre.
L’anno che verrà, fino al prossimo Festino, avrà bisogno di un maggiore impegno generale, di una più diffusa assunzione di responsabilità, anche soltanto nel rispetto delle regole. Palermo, senza mettere da parte le legittime opinioni negative sul suo governo, si salva con l’aiuto di tutti. Nessuno escluso.
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