Lo stupro del Foro Italico, il dolore in Tv fa cadere il velo dell'ipocrisia

Lo stupro del Foro Italico, il dolore in Tv fa cadere il velo dell’ipocrisia

La vittima svela la sua identità che tutti già conoscevano

PALERMO – La ragazza vittima del branco ci ha messo, letteralmente, la faccia. Si è presentata nello studio della trasmissione di Rai 3 “Avanti Popolo” e, rispondendo alle domande della conduttrice Nunzia De Girolamo, ha raccontato il suo incubo. Ci sono sette ragazzi sotto inchiesta a Palermo. Devono difendersi dall’accusa di avere abusato, a turno, della diciannovenne in una serata di alcol e spinelli iniziata nella giungla della Vucciria e terminata nel buio di un cantiere al Foro Italico.

Una scelta di coraggio la sua, nessuno può negarlo, per zittire quel continuo sentirsi dire “se l’è cercata”. Al contempo la presenza in Tv fa cadere il velo di ipocrisia che ha avvolto l’intera vicenda. Perché – bisogna essere franchi – il suo nome e la sua faccia erano già noti ai più. La vittima ha raccontato minuto per minuto la vicenda sui social. I suoi profili Instagram e TikTok contano migliaia di iscritti, pronti a collegarsi al richiamo della diretta. In tantissimi sapevano chi era e cosa le fosse successo prima ancora che andasse televisione. Certo la platea è numericamente diversa.

Per mesi due mondi hanno seguito percorsi paralleli. Da una parte quello social con gli aggiornamenti della vittima, i messaggi di solidarietà (anche di personaggi famosi come Sfera Ebbasta) e le critiche feroci e disgustose. Nessuno può giudicare le scelte della ragazza, né spingersi a comprenderne le ragioni che le motivano. La condivisione social potrebbe essere stata una catarsi – ed è lei a lasciarlo intendere -, un tentativo di liberarsi da una esperienza certamente traumatizzante.

Dall’altra parte c’è il mondo delle cronache giornalistiche che rispondono a regole deontologiche che, alla luce dei fatti, sembrano gabbie. Niente nomi, niente dettagli, nulla che possa ricondurre all’identità della vittima che sceglie di rendersi riconoscibile. E che dire della giustizia con la sua ritualità fuorimoda. La ragione ha camminato sull’orlo del precipizio il giorno dell’incidente probatorio. Altro non è che un istituto processuale con il quale si deroga alla regola che la prova si forma in dibattimento. Quando c’è il rischio che la prova stessa possa venire compromessa si anticipano i tempi per cristallizzarla nella fase delle indagini preliminari. Come? Anticipando una parte del processo.

Al suo arrivo in Tribunale la ragazza è stata fatta salire per le scale secondarie, protetta dai carabinieri. Per evitare ogni contatto visivo con gli indagati ha deposto dalla stanza della camera di consiglio. Era collegata in video, adottando una misura ancora più stringente del paravento che di solito viene usato quando bisogna proteggere un testimone. Di contro lei, un minuto prima di entrare in aula, ha postato un video sui social con la scritta in sovraimpressione “Tribunale di Palermo”. In un altro video ha immortalato i carabinieri mentre la accompagnavano all’imbarco dell’aereo che l’ha ricondotta nella città dove si trova la comunità che la ospita. Anche da lì si è collegata in diretta con i follower.

In Rai la ragazza ha parlato di Angelo Flores, uno dei sette arrestati. Hanno avuto una relazione, si fidava di lui tanto da confidargli il dolore per la perdita della mamma per una malattia, del padre violento, di un ragazzo che l’aveva picchiata. Ed ancora: delle paure che le tolgono il sonno, dei gesti estremi come unica via contro il dolore, della libertà di dire basta anche durante un rapporto sessuale. Flores avrebbe tradito la sua fiducia, attirandola in una trappola e filmando con il cellulare la notte di violenza. Il telefonino è una parte del corpo che si attiva, come le altre, quando riceve un impulso. Uno strumento dell’orrore (ma anche la scatola nera in mano agli investigatori) usato per soddisfare la logica perversa secondo cui, qualcosa esiste solo se gli altri la vedono.


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