PALERMO – I giovani violenti vanno in giro armati e già pronti all’eventualità che la serata possa finire male. Lo raccontano gli ultimi fatti di cronaca, con la strage di Monreale al primo posto della lista dell’orrore che continua a preoccupare. Il pestaggio di due ragazzi in via Roma e l’arresto di di due minorenni che, armati di tirapugni, hanno rapinato un ristoratore in via Ernesto Basile, hanno inevitabilmente alimentato la paura a Palermo.
“Criminalità giovanile in aumento”
A fare il punto della situazione è Nicola Malizia, docente di Criminologia all’Università Kore di Enna. “Le statistiche dicono che il fenomeno della criminalità giovanile è nella media o addirittura in calo, ma la realtà è un’altra – spiega -. Vengono infatti monitorati soltanto i fatti di cui è a conoscenza l’autorità giudiziaria, ma esistono altri dati importanti, legati a reati che non vengono denunciati o che avvengono in contesti particolari. Pensiamo all’uso distorto dei mezzi di comunicazione e all’aumento sproporzionato di reati tramite la rete informatica”.
“I social? Alimentano l’aggressività”
Malizia si sofferma a questo punto sul ruolo dei social: “Un sistema che ha come diretta conseguenza l’emulazione, amplificando la sicurezza eccessiva del sé e la volontà ostinata di essere più forti dell’altro. Si tratta di un meccanismo che in molti ragazzi alimenta l’aggressività. Anche per questo ci ritroviamo ad avere a che fare con giovani che non tollerano più le frustrazioni e che dagli undici anni in poi si rendono protagonisti di episodi inquietanti: vivono all’insegna del protagonismo assoluto, sentendosi invulnerabili, quasi onnipotenti”.
Il caso di Monreale
Il professore Malizia non nasconde la sua preoccupazione: “Troppo spesso si esce per andare a cercare la lite, per far scoppiare tafferugli, per ferire le società – dice -. Ed è altrettanto preoccupante la facilità con cui è possibile procurarsi delle armi. Nel caso di Monreale, parliamo di diciottenni e diciannovenni, quindi di giovani adulti, che hanno seminato panico e terrore in mezzo alla gente, senza pensarci un attimo. Si agisce in questo modo terribile per affermare il proprio io, la propria superiorità, la cultura criminale. Si esce, in pratica, già preparati alle risse e alla violenza in generale”.
Il ruolo della famiglia
Ma è la famiglia ad avere un compito determinante: “E’ venuta meno la socializzazione primaria, che si sviluppa sin dall’infanzia. La scuola cerca di colmare queste lacune che si creano in famiglia, ma non è semplice. E’ un dato oggettivo che ci sia troppa libertà sin da piccoli – prosegue Malizia -. E’ possibile vedere undicenni andare in giro di notte e l’età in cui comincia la ‘fase di sperimentazione’ si è notevolmente abbassata. Tra i dieci e gli undici anni si provano l’alcol e le prime sostanze stupefacenti, la situazione è grave”.
Un fenomeno non facile da arginare, ma che si può provare a contrastare con la prevenzione. “Sì – prosegue il criminologo – ma dobbiamo considerare che a Palermo ci sono tredicenni e quattordicenni che hanno già abbandonato la scuola e diventa molto difficile ‘raggiungerli’ anche per gli assistenti sociali. Ciò accade soprattutto nei quartieri più critici della città, dove va ad insinuarsi la sottocultura delinquenziale o criminale, in cui questi ragazzi vengono educati secondo gli stili della famiglia di origine e certe condotte vengono tramandate”.
Come intervenire
Malizia propone quindi un altro tipo di approccio: “Tra i più utili ritengo quello dell’educazione domiciliare o di quartiere, che consiste nel lavoro di servizi sociali specializzati, che sanno come avvicinarsi ai ragazzi a rischio devianza, ma bisogna intervenire sicuramente nelle periferie, creare spazi di condivisione e creare cultura. Ovviamente, sul fronte della sicurezza, sarebbe ideale un controllo capillare del territorio, perché i cittadini non devono e non possono convivere con la paura”.

