Paolo Borsellino| e la verità addormentata - Live Sicilia

Paolo Borsellino| e la verità addormentata

Vent'anni fa, il celebre discorso di Paolo Borsellino. Vent'anni dopo la memoria torna a battere un colpo. E chi non c'è non ci sarà. (foto di Martina Miliani)

A mezzanotte e qualcosa, nell’ora dei sogni e della gente che dorme, Paolo Borsellino torna da vivo. Torna tra noi, fantasmi impenitenti e ciechi, spettri dannati alla ricerca della verità. E’ proprio lui, il giudice, in purissima immagine, su uno schermo-lenzuolo, nell’atrio della biblioteca comunale. E’ lui, in uno spezzone televisivo, vent’anni dopo il suo ultimo discorso in carne, ossa e sigarette, nel medesimo scenario. Gli occhi sono smarriti, carichi di presagi. Le dita tormentano un accendino verde. Le mani tremano. La voce è roca: “Qualche Giuda…”. Venticinque giugno del ’92, a pochi giorni da via D’Amelio. Oggi, il venticinque giugno del 2012, rimbalzano i cocci del coraggio di un uomo che sapeva di essere condannato. E’ stata l’associazione “Cittadinanza Per La Magistratura” a costruire “Vent’anni dopo non è solo mafia”, nella biblioteca di Casa Professa che ospitò il monito di Borsellino, col sangue di Capaci ancora a terra.

E’ un rito della memoria pressato contro il cuore e la mente. Chi non c’è non ci sarà. Si cammina, sfiorando il pavimento, col timore di un fedele o di un innamorato. C’è una foto d’ingresso che riflette la vittima del diciannove luglio. E’ parte della mostra di Elisa Brai. L’immagine è coperta da un velo trasparente. Un breve capogiro davanti al ritratto didascalico della verità addormentata. Senti quasi il bisogno di strappare via la lamina di stoffa sottile, come una metafora di un più profondo bisogno di schiarita. Buio. Sullo schermo i fotogrammi del documentario “La tela strappata” di Giancarlo Licata. Frammenti dei telegiornali trascorsi. Estate del ’92. Una cronista azzarda un paragone tra Emanuela Setti Carraro e Francesca Morvillo, morte per amore. Vincenzo Agostino nei tg. Vincenzo Agostino fisicamente presente, con la barba lunga di chi aspetta di conoscere la verità sull’assassinio del figlio. Leoluca Orlando nelle cronache dell’archivio e seduto su una poltroncina, adesso. Lo specchio e le persone. Ti confondi. Quasi non sai da che parte guardare.

I funerali di Falcone. C’era la pioggia. E non lo ricordavi. Una cenere fumante di sdegno, via via dispersa. Le lenzuola appese dentro una città irriconoscibile. Le facce degli anni Novanta, dolenti e indignate, migliori delle nostre. La verità addormentata, nell’ora dei sogni e del sonno. Scatta il momento del dibattito. Leonardo Guarnotta: “Fu solo mafia? Chi ha desiderato la pax mafiosa? Lo Stato non ha salvato i suoi servitori”. Giovanbattista Tona: “Accusano noi magistrati di occuparci di scenari. Ma allora chi sa parli”.  Vittorio Teresi: “C’è lo Stato-Stato e c’è lo stato-mafia. Giovanni e Paolo sono vittime dello stato-mafia. Ne è valsa la pena? No. La mafia non è stata sconfitta, la politica è inquinata. Lo stato-mafia si è rinforzato”.

Antonio Ingoia: “Paolo conosceva una verità che è morta con lui. Si è perso troppo tempo. Sembra che si voglia chiedere alla magistratura di rallentare. La politica faccia un passo avanti, lo dico senza polemica, eviti di insultare i giudici. Avverto ostilità”. Nino Di Matteo: “Basta con gli attacchi”. Ma non è una riunione di militanti, secondo la vulgata mediatica. Da qualsiasi zona si osservi, l’occasione tratteggia un ritrovo dell’Italia civile. Infine, Salvatore Borsellino che si abbandona a un suo personalissimo monologo di rabbia e affetto: “Mi hanno preso per pazzo per le mie domande”. Rita (“Vent’anni fa non un solo magistrato se n’è accorto di come si stavano conducendo le indagini sulla strage di via D’Amelio. Ma com’è mai possibile? E’ questa la domanda che oggi mi inquieta e mi addolora”) e Salvatore non hanno potuto nascondersi al riparo di un lutto privato. Sono stati costretti a condividere. A rendere obiettiva la mutilazione, con le ragioni del riscatto.

Mezzanotte e qualcosa. Paolo Borsellino torna da vivo, senza sorriso, nella notte di Palermo che dorme, abbracciata alle sue bugie. Peccato mortale per chi se ne va. Le dita, l’accendino verde, le mani che tremano. Sullo schermo passa l’ultimo discorso. E quando smette di passare, in tre o quattro applaudono. Tutti gli altri sfilano via in silenzio.


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