A scuola dal papà boss: “Ci sono voluti trent'anni per incastrarmi”

A scuola dal papà boss: “Ci sono voluti trent’anni per incastrarmi”

Il defunto capomafia dei Pillera

CATANIA – “Non lo capiscono che prima di uscire ha chiamato tutte le Procure d’Italia”. Appena uscito dal carcere Giacomo Ieni, un boss del clan Pillera Puntina liberato nel settembre del 2021, non ha nessuna intenzione di farsi beccare ancora. E ai figli, che sono coinvolti a vario titolo negli affari della famiglia, uno dei gruppi più potenti di Catania, lo dice chiaramente: “Così duriamo tre giorni”.

“Io non vado neanche da Dario (Dario Ieni, suo figlio) ora mi metto io a fare un colpo là, un colpo qua. Ci sono voluti trent’anni anni per incastrarmi… ci sono voluti trent’anni per incastrarmi e già sono sopra una bomba e non lo sanno…”.  Effettivamente come dargli torto, visto che quella conversazione era regolarmente intercettata.

Il provvedimento

L’intercettazione emerge dall’ordinanza del Tribunale del Riesame che adesso è stata confermata in Cassazione. Un’ordinanza che ha accolto il ricorso della Procura di Catania e ha stabilito che l’ipotesi di associazione mafiosa, in sede cautelare, per Dario Ieni, figlio di Giacomo (il boss nel frattempo è morto), regge. Dario resta accusato di mafia, dunque.

E come lui anche Carmelo Bonfiglio, che pure si trova a piede libero, perché per lui l’ordinanza è stata respinta dal Gip. La quinta sezione penale del Tribunale del Riesame, presieduto da Giuliana Sammartino, sul punto è chiaro: l’appello dei pm Assunta Musella e Fabio Platania “è fondato”.

Dopo aver lasciato il carcere, in pratica, Giacomo Ieni avrebbe ripreso il controllo dell’organizzazione, non solo impartendo ordini agli appartenenti al clan, ma anche incontrando personalmente gli im­prenditori sotto estorsione. Ma in questi casi, sottolineava, con gli affiliati ci parlava “negli scogli”, lontano, insomma, da occhi indiscreti.

La vittima

A un certo punto, avrebbe incontrato il titolare di una bottega. In quel frangente avrebbe detto all’imprenditore vittima che lo vedeva “come un figlio”. Poi gli avrebbe raccontato, con fare intimidatorio, di una sua amica imprenditrice che gli avrebbe chiesto aiuto per il pizzo, mettendo in evidenza che lei, mentre era detenuto, non si era fatta vedere neanche per un regalo.

Ma non era il suo caso. E l’imprenditore lo ha messo subito in chiaro: “Ti sono arrivate le cose che ti ho mandato?”. Poi nel 2022 Ieni viene arrestato nuovamente. E i suoi congiunti, scrive il Riesame, “riprendevano per suo conto e a suo nome anche i rapporti con altri clan”.

Dario Ieni

Secondo i giudici, “posizione di assoluto spicco rivestiva leni Dario unitamente a Bonfiglio Carmelo”. Il primo, secondo gli inquirenti, “nonostante la giovane età ed una limitata libertà di movimento (in quanto sottoposto al regime degli arresti domiciliari), ricopriva un ruolo nevralgico all’interno della consorteria”.

E sarebbe stato “raggiunto nella sua abitazione non soltanto dai suoi sodali ma anche dai soggetti che rivestivano posizioni apicali in altri gruppi mafiosi, che molto verosimilmente interloquivano con lo leni per discutere di affari o della pianificazione delle attività dei rispettivi gruppi di appartenenza”.


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