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Referendum: parlano i costituzionalisti

Ieri sera nella sala adunanze del palazzo di giustizia il confronto fra i due docenti di diritto , Corrado Caruso e Giancarlo Antonio Ferro.

Voto Si, voto No
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CATANIA – Riformare o meno la costituzione, votare sì, votare no al referendum. Sono gli interrogativi che tengono banco nei pochi giorni rimasti prima del 4 dicembre. Ed ecco che si susseguono serrati i dibattiti sulla riforma che mira a revisionare l’assetto istituzionale del paese. Ieri sera è stato il turno di due costituzionalisti: Corrado Caruso, docente di Diritto costituzionale nell’Università di Bologna, favorevole al sì e Giancarlo Antonio Ferro, favorevole al no. Un confronto lucido e sereno, fra i due svoltosi nella sala adunanze del palazzo di Giustizia di Catania. Nessuno scontro politico, ma una dialettica stretta attorno agli assunti della dottrina e ai contenuti della riforma. A moderare l’avvocato Enzo Mellia che ha dato la parola a Caruso. Quest’ultimo parte dai padri costituenti, introducendo il quesito clou della riforma, ovvero quello inerente l’eliminazione del bicameralismo paritario e la sostituzione del senato della repubblica con quello delle autonomie.

Il testo definitivo della Costituzione – spiega Caruso – vene redatto nel maggio del ’47. Allora i lavori della Costituente furono condotti con l’idea dover trovare una compromesso che consentisse all’assemblea costituente di redigere un testo definitivo e funzionante. Il compromesso al ribasso fu dato proprio dal bicameralismo perfetto. Due camere formate allo steso modo che fanno le stesse identiche cose nasce come reciproca esigenza di garanzia dei partiti costituenti di rallentare e calmierare il processo di decisione politica in un preciso momento politico e storico. Una scelta quindi dettata dalle paure e dai timori legati al difficile momento internazionale (guerra fredda, patto atlantico, decisioni degli Usa) di allora. Una debolezza istituzionale riequilibrata dalla forze politiche. Il bicameralismo perfetto era dunque un sistema perfettamente congeniale rispetto ad un sistema politico pluripartitico della società neo repubblicana”.

Un aspetto ancora attuale secondo Caruso, e al centro del quesito referendario del prossimo 4 dicembre che prevede, appunto, la possibilità di superare o meno il bicameralismo, attribuendo ad una sola Camera dei deputati la facoltà di approvare o meno di disegni di legge e accordare la fiducia al governo. Mentre il senato diventerà un organo rappresentativo delle autonomie regionali composto da soli 100 senatori anziché 315 che non verranno eletti dai cittadini, ma dai consiglieri regionali. Questi saranno 74 ed eleggeranno 21 sindaci e 5 senatori di nomina presidenziale che si contraddistingueranno per motivi scientifici o culturali. Un’eventualità positiva per Caruso che sostiene di buon grado la riforma Boschi. “Superare l’idea – dice – che le camere concorrano in maniera egualitaria all’esercizio della funzione legislativa e di controllo e di indirizzo politico. Il senato diverrà qualcosa di radicalmente diverso rispetto all’assetto regionalistico del paese. Se la camera dei deputati diverrà espressione della volontà del popolo il senato diverrà invece una camera di compensazione degli interessi territoriali. Il senato delle autonomie non sarà più chiamato a decidere sulle leggi se non in 16 casi “eccezionali”. In cui concorrerà in maniera paritaria ad esercitare il potere legislativo”.

Sul titolo V della costituzione invece e le relative competenze stato regioni, “Visto che si è parlato di opacità della riforma – dice – si tratterà invece di leggi che attengono ad un’organizzazione dell’ordinamento delle regioni. Le leggi che definiscono gli enti locali e il patrimonio. Il senato dunque concorrerà alle fasi di revisione costituzionale dando voce alle istanze territoriali. In questo quadro appare evidentemente che vi è un rafforzamento indiretto del potere del governo dell’esecutivo”.

Caruso allude inoltre alle polemiche sollevate su un possibile ampliamento dei poteri spettanti al premier a scapito della sovranità del popolo, le cui facoltà appaiono sensibilmente revisionate nella riforma. “In parlamento – afferma Caruso – non c’è una sola norma che attribuisce più potere all’esecutivo o al presidente del consiglio dei ministri. Qualcuno secondo me, impropriamente assimila questa riforma a quella approvata nel 2005 dal governo di Berlusconi. Ebbene quella riforma attribuiva addirittura, fra le altre cose, la facoltà al presidente del consiglio di ministri il potere di scioglimento delle camere”. E precisa: “Vi è un accentramento politico seppur limitativo della volontà generale. Le finalità della riforma sono giustificabili e tutto sommato la riforma nella sua dimensione ha qualcosa di più che un mero riassetto, perché tanta di dare centralità nuovamente alle istituzioni, riaccentrando materie che prima erano state generosamente delegate”.

Sul fronte del no è intervenuto a risposta di Caruso, Giancarlo Antonio Ferro, docente di Diritto costituzionale all’Università di Catania. Ragionevole nella sua disamina. “Sono favorevole del no – ha detto – ma per questo non credo che se dovesse passare questa riforma potremmo trovarci sotto dittatura come qualcuno sostiene. Non mi convince l’idea di coloro che parlano di una riforma che violenti o stupri la costituzione. Sono dei messaggi sbagliati quelli che stanno passando. Non la vedo così. Ritengo che il dibattito politico in questi giorni sia accompagnato da una serie di menzogne. Vorrei precisare intanto che Boschi e Renzi non sono i genitori della riforma, ma lo è Napolitano. Renzi può stare simpatico o meno, ma il referendum non è sul premier. Ritengo che abbia sbagliato a personalizzarlo sin dall’inizio, ma non siamo chiamati a votare su di lui”. E precisa: “Non sono a sfavore, in generale, agli obiettivi che questa riforma si prefigge, non mi oppongo ad una revisione della costituzione, anzi penso che si debba mettere mano alla Costituzione. Per esempio, mi pare una cosa più che ragionevole sopprimere il Cnel. Ma voterò no al referendum – spiega – perché intanto penso che questa riforma si scritta davvero male. Il superamento del bicameralismo perfetto, che agevolerebbe così i procedimenti legislativi non credo che semplifichi molto il sistema della funzionalità e della velocità. Anzi potrebbe creare problemi. Ma non è la riforma in sé a garantire la governabilità, credo che qui invece avrà un peso molto importante la legge elettorale. Lo statuto delle abolizioni chi lo farà la maggioranza”.

Ma fra le altre eventuali criticità tecniche Ferro si sofferma sul referendum abrogativo. Cioè il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo sempre del 50 per cento, tranne nell’eventualità che i cittadini richiedenti la consultazione referendaria saranno in 800 mila, invece che 500 mila. In quel caso il quorum sarà ridotto e non occorrerà più che votino il 50 per cento più uno dei votanti. “Estendere l’abbassamento del quorum anche alle 500 mila firme – ha evidenziato Ferro – mi lascia perplesso essendo il referendum abrogativo un esercizio del potere maggioritario da parte di chi vota”. Ma Ferro interviene in merito alla nuova eventuale composizione del Senato. “Sono d’accordo sul superamento del sistema bicamerale”. – ha spiegato – “Ma quale peso avranno questi 100 senatori nei casi di esercizio comune e nelle elezioni? ” – ha chiosato – “C’è poi un difetto nel caso in cui il presidente della Camera dei deputati dovesse sostituire il presidente del Repubblica: diventerebbe il presidente del governo in zona Comune il presidente del Senato che dovrà servirsi dell’ufficio di presidenza della camera dei deputati. E questo in diritto parlamentare potrebbe creare qualche problema”. A proposito, invece, dell’elezione dei due giudici della Corte costituzionale da parte del senato, “viene tolta – ha aggiunto – la facoltà di attribuzione da parte della camera dei deputati. Ebbene sono assolutamente contrario ad una rappresentanza delle regioni in corte costituzionale, ma quando si è detto mai che un giudice che deve decidere su eventuali conflitti tra stato e regioni provenga dalle regioni. Insieme a queste, ci sono tante altre aspetti della riforma che mi lasciano perplesso. Motivo per cui voterò no” – conclude.

 


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