Partinico, rapito e morto in un pozzo: no alla revisione dell'ergastolo

Rapito e chiuso in un pozzo, morì di stenti: niente revisione dell’ergastolo

Il pozzo dove fu trovato Pietro Licari e Vincenzo Bommarito
L'omicidio di Pietro Licari. Respinto il ricorso di Vincenzo Bommarito

PALERMO – Ricorso rigettato. Non ci sarà la revisione della condanna all’ergastolo per Vincenzo Bommarito. La Cassazione di fatto ribadisce che Vincenzo Bommarito, 34 anni, è colpevole dell’omicidio di Pietro Lipari, rapito nel 2007 e morto di stenti dentro un pozzo nelle campagne di San Cipirello. Bommarito è stato condannato all’ergastolo.

“Un uomo distrutto”

“Il mio assistito è un uomo distrutto, credevamo nella revisione e continuiamo a credere che si tratti di una profonda ingiustizia. Ricorreremmo alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Senza contare che abbiamo raccolto elementi nuovi per una ulteriore richiesta di revisione”, commenta l’avvocato Cinzia Pecoraro. La moglie del detenuto parla di “scempio”.

La libertà inattesa

Bommarito fu arrestato nel 2007 e condannato all’ergastolo con sentenza definitiva. Dopo 12 anni trascorsi in cella, nel 2019, ottenne la scarcerazione (qui la sua intervista il giorno della liberazione) in attesa che la Corte di Caltanissetta decidesse sulla revisione del processo. Il ritorno in libertà aveva alimentato la speranza. Ed invece a giugno 2022 la Corte di appello di Caltanissetta disse che non c’erano i presupposti per la revisione e Bommarito tornò in carcere. Da qui il ricorso in Cassazione rigettato ieri sera, giovedì 18 gennaio. A presentarlo è stato sia il suo legale che la Procura generale. Anche l’accusa riteneva, infatti, che il processo andasse celebrato di nuovo.

Vincenzo Bommarito e l’avvocato Cinzia Pecoraro

La tragica morte del possidente

Michele Pietro Licari, possidente di Partinico, fu sequestrato il 13 gennaio 2007, rinchiuso e legato mani e piedi in un pozzo nelle campagna di San Cipirello che divenne la sua tomba. Aveva 70 anni. I rapitori chiesero un riscatto di trecento mila euro. Le prove hanno retto in tutti fino in Cassazione.

Il legale ha provato a picconarle, partendo dal racconto di Giuseppe Lo Biondo, all’epoca diciottenne, reo confesso del delitto, che lo aveva inguaiato. Fu lui, condannato a tredici anni (ottenne uno sconto in virtù della sua collaborazione) a ricostruite il ruolo di Bommarito. “Io l’ho preso alle spalle e il Bommarito mi viene ad aiutare. Lo abbiamo legato e lo abbiamo messo nella sua macchina”, raccontò.

La difesa

Ad un certo punto Lo Biondo dal carcere iniziò a spedire delle lettere a Bommarito. Chiedeva perdono per averlo accusato falsamente. Secondo la difesa, troppe cose non quadravano. Ad esempio gli incroci dei tabulati telefonici. Bommarito nei tragici giorni del sequestro aveva chiamato Lo Biondo. Era normale che lo facesse, ha sostenuto la difesa, visto che lavorava come bracciante per l’azienda di Lipari. Le cicche di sigarette trovate nel terreno dove c’era il pozzo della morte sarebbero state contaminate perché furono toccate senza guanti dagli investigatori. Dubbi sono stati sollevati sul movente: Bommarito non aveva bisogno di soldi. Ed ancora: il giorno del sequestro il suo telefono agganciò le celle di Castellammare del Golfo e Alcamo, dunque lontano da Partinico e dintorni.

La Corte di appello di Caltanissetta ha ritenuto che l’impianto accusatorio reggesse Ci sono delle risposte ai quesiti difensivi. Lo Biondo ha mentito per tentare di scagionare il suo complice, le celle telefoniche all’epoca dei fatti erano diverse dalle attuali, le cicche di sigarette confermano la presenza simultanea di entrambi nel luogo del rapimento.


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