L'omicidio, l'ergastolo, la libertà | "Dodici anni in cella da innocente" - Live Sicilia

L’omicidio, l’ergastolo, la libertà | “Dodici anni in cella da innocente”

Vincenzo Bommarito e l'avvocato Cinzia Pecoraro

Parla Vincenzo Bommarito, scarcerato in attesa del processo di revisione.

PALERMO – Come si vive in carcere per dodici anni sostenendo, giorno dopo giorno, di essere innocente? “Male, malissimo – risponde Vincenzo Bommarito -, ma con la speranza che prima o poi la verità sarebbe emersa. Ho trascorso momenti bui, di grande sconforto, ma io credo nella giustizia e allora oggi voglio dimenticare quei giorni terribili”.

Bommarito è entrato in carcere nel 2007 che era poco più di un ragazzo, ora è un uomo maturo. Pochi giorni fa è stato scarcerato in attesa che venga celebrata a Caltanissetta la revisione del processo che si era chiuso con la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Michele Pietro Licari, un possidente di Partinico, sequestrato e rinchiuso in un pozzo che divenne la sua tomba.

Le prove hanno retto in tutti i gradi di giudizio. Fino in Cassazione. Eppure ora le certezze della sua colpevolezza si sono sgretolate. A cominciare dal racconto di Giuseppe Lo Biondo, all’epoca diciottenne, reo confesso del delitto, che lo ha inguaiato. Fu lui, condannato a tredici anni in virtù della sua collaborazione, a ricostruite il ruolo di Bommarito. “Io l’ho preso alle spalle e il Bommarito mi viene ad aiutare. Lo abbiamo legato e lo abbiamo messo nella sua macchina”, diceva nella testimonianza. Da lì lo rinchiusero in un pozzo di campagna.

Perché Lo Biondo lo ha accusato? “Me lo chiedo ogni giorni da dodici anni – spiega Bommarito – e non mi sono ancora dato una risposta”. Ad un certo punto Lo Biondo dal carcere ha iniziato a spedire a Bommarito delle lettere nelle quali gli chiedeva di perdonarlo per averlo accusato falsamente.

Faccenda delicata che va oltre il tema processuale: “Perdonarlo? Non so se quello che ha fatto è una cosa che si può perdonare – aggiunge Bommarito – Lo compatisco, voglio compatirlo, ma non spetta a me perdonarlo”.

Sono state la difesa e la Procura generale di Palermo a chiedere la revisione del processo e la scarcerazione in attesa di un giudizio che si preannuncia lungo. Meglio bloccare la sofferenza di un uomo che probabilmente – solo i giudici potranno dare certezze – quel delitto non lo ha commesso. I familiari di Bommarito, soprattutto la sorella, hanno cercato con ostinazione di fare riaprire un caso ormai chiuso.

Il merito va all’avvocato Cinzia Pecoraro che ha preso le difese di Bommarito quando la Cassazione aveva reso definitivo l’ergastolo. Troppe cose non quadravano nelle indagini. Ad esempio gli incroci dei tabulati telefonici. È vero, Bommarito nei tragici giorni del sequestro aveva chiamato Lo Biondo. Era normale che lo facesse visto che durante la stagione dei raccolti lo assoldava come bracciante nella sua azienda agricola. E non ci fu alcun picco di chiamate in concomitanza con la morte del povero Licari come ha dimostrato una perizia di parte. In ogni caso è emerso che Bommarito il giorno del delitto si trovava lontano da Partinico. E poi il movente: non è vero che Bommarito avesse dei debiti tali da giustificare il folle progetto del rapimento per chiedere il riscatto. Aveva comprato un trattore e le rate erano state tutte regolarmente pagate. C’era un debito di duemila euro, ma solo per un errore della banca.

Sono solo alcune delle prove contrarie raccolte dall’avvocato Pecoraro. Il legale è ottimista, come lo è, in cuor suo, Bommarito che però in carcere ha imparato “che è meglio restare con i piedi per terra. Ne ho perse tante di batoste”. E se la revisione dovesse finire in maniera diversa da come si aspetta? “Posso solo ribadire quello che dico da anni: sono innocente”.

Il comportamento in carcere di Bommarito è stato esemplare. Ha goduto di un permesso e vi ha fatto rientro in anticipo rispetto alla data concordata. Se arriverà un’assoluzione c’è ancora tempo per riperdersi la propria vita? “Ci spero, voglio tornare a vivere, a lavorare in azienda. A sporcarmi le amni con la terra, a vivere una vita normale accanto alla gente che in questi giorni mi ha espresso grande solidarietà”.

C’è una cosa, forse l’unica, che Bommarito salva della sua esperienza carceraria: “Mi sono diplomato. Studiare mi è servito per impiegare il tempo e non pensare sempre a solo a quello che stavo subendo”.

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