Pasqua in carcere per Calvaruso: il boss che aiutò il padrino latitante

Pasqua in carcere per Calvaruso: il boss che aiutò il latitante

Era appena rientra da Natal, in Brasile, via Parigi per stare con i familiari. Chi sono gli uomini con cui è stato in contatto

PALERMO – Quarantatré anni, molti dei quali trascorsi in carcere, e una lunga militanza mafiosa. Giuseppe Calvaruso è una vecchia conoscenza dei carabinieri di Palermo che ieri lo hanno fermato in aeroporto.

Era appena atterrato allo scalo “Falcone e Borsellino” di rientro da Natal, in Brasile, via Parigi. Voleva trascorrere la Pasqua con i familiari a Palermo, città dove avrebbe occupato un posto chiave nello scacchiere mafioso. Viene indicato come l’ultimo reggente del mandamento di Pagliarelli. Un ruolo che gli spettava una volta arrestato nel 2018 il vecchio padrino Settimo Mineo.

Calvaruso ha dato negli anni prova di grande spessore mafioso. Innanzitutto si era distinto nella gestione della latitanza di Giovanni Motisi, soprannominato il pacchione, capomafia di cui nulla si sa dal 1998. La moglie del latitante fu vista entrare nel negozio di fiori “La Violetta”, gestito da Vincenzo Cascino in via Maqueda. La macchina di Cascino fu riempita di microspie. Saltarono fuori i contatti fra il fioraio e pezzi da novanta di Cosa nostra che gli costarono l’arresto, nel maggio del 2002, assieme a Giuseppe Calvaruso.

Le famiglie di Giuseppe Calvaruso e Giovanni Motisi si frequentavano abitualmente. Il tono confidenziale si manifestava nei biglietti sequestrati dai carabinieri a casa del latitante. La sorella di Giuseppe lo chiamava in causa: “Cara zia e zio come state? Spero bene anzi benissimo. Mi mancate molto ma saprò aspettare: sicuramente ci sarà il giorno in cui ci rivedremo sarà un giorno di felicità sia per voi che per noi, basta avere fede in Dio”.

La vicende della latitanza di Motisi si intrecciarono, anche se per un breve periodo, con quelle della fuga di Calvaruso che il 3 giugno 2002 sfuggì all’arresto. Sarebbe stato catturato pochi mesi dopo. Nel 2006 finì di scontare la pena. Neanche il tempo di tornare in libertà e da sorvegliato speciale, a partire dal 2006, riallacciò i vecchi contatti.

Passando ai raggi x la sua vita i carabinieri arrivarono alle ultime notizie certe sulla presenza in Sicilia di Motisi, In particolare in una casa in contrada a Casteldaccia e in via Enrico Toti, poco distante dall’Università di Palermo.

Calvaruso, quando finì di scontare una nuova condanna nel processo nato dal blitz Perseo del 2008, intercettato nel 2016 sul rapporto fra Cascino e Motisi diceva: “Lo voleva bene… bene assai… e gli unici che ci andavamo eravamo io e lui… Giusè un personaggio credimi”.

Vicino a Settimo Mineo, ma anche a Gianni Nicchi e Vincenzo Giudice, reggenti pure loro del mandamento, era scontato che Calvaruso prendesse in mano il potere. I pentiti hanno riferito che fu lo stesso Mineo a sceglierlo come suo erede.

Tra i due i contatti erano costanti. La mattino del 4 novembre 2015 si diedero appuntamento in via Giuseppe Arcoleo, nella zona di Corso Calatafimi. Il 15 gennaio successivo Mineo si faceva accompagnare in un’autofficina di via Morozzo della Rocca, al Villaggio Santa Rosalia. “Gli dico: ritardammu picchì na machina ni vìnni d’appresso”, diceva Mineo.

Ad aspettarlo c’era Calvaruso, tornato operativo dopo la scarcerazione. Il 7 maggio 2016 i partecipanti ad un faccia a faccia fissato in un condominio di via Andrea Cesalpino diventavano tre: oltre a Mineo e Calvaruso c’era Salvatore Sorrentino, capo della famiglia del villaggio Santa Rosalia, arrestato nel 2018 assieme a Mineo: “Mi portò questa… che so se è ricotta. Era ancora calda… però stavolta è di Santa Cristina di Gela”, diceva Mineo.

Ma non era la consegna della ricotta il motivo dell’incontro. Dal successivo 20 settembre Calvaruso si era trasferito a Riccione in attesa che finisse il periodo di libertà vigilata: “A dicembre mi scadono i due anni, se io rimango qua a Palermo, me la rinnovano di nuovo, ma no solo a me, la rinnovano a tutti, abbiamo un magistrato di sorveglianza che c’è da ridere… invece là fuori per dire mi libero vengo di nuovo”.

Era una strategia precisa: “Allora, non fai… e vai carcerato lo stesso… deve finire bene e devi mancare dieci anni da casa… fai… e manchi carcerato e… e sono vent’anni… un cristiano… l’alternativa qual è? Dice… te ne devi andare. E me ne sto andando… Perché ti dico una cosa, vedi anche lui… che sta… è lo stesso in pericolo… ti sembrerà un paradosso… perché capita un coglione, che viene intercettato e che dice una… cioè a farci passare un brutto quarto d’ora ci vuole niente… invece un cristiano che non c’è, non c’è e non viene nominato… pure che viene nominato, dice: ma io non ci sono…”.

In realtà Calvaruso faceva spesso ritorno a Palermo anche per delegare, secondo l’accusa, il suo braccio destro Giovanni Caruso nella gestione delle vicende del mandamento. Nell’estate del 2017 era già tornato come dimostra un incontro avvenuto nel luglio in un giardino dell’Università degli studi con Salvatore Sorrentino, Andrea Ferrrante e Giovanni Cancemi.

Era arrivato il momento che Calvaruso si assumesse le proprie responsabilità. Lo sapevano tutti a cominciare dai parenti dei detenuti. Come la moglie di Vincenzo Giudice, che di Pagiarelli è stato reggente, la quale diceva: “Ora il corto deve entrare… non c’è nessuno, gli tocca. Gli serve il ricambio, Salvino e lui”. Calvaruso il corto e Salvino Sorrentino doveva fare la loro parte.

Nel frattempo Calvaruso ha mandato avanti affari e mantenuto vecchi e nuovi contatti. Ad esempio quelli con Antonino e Francesco Spadaro, figli dello storico capomafia della Kalsa, Masino. Quando il 12 agosto 2017 dopo undici anni di carcere fu scarcerato Francesco Francolino Spadaro, fu Calvaruso a procurare una macchina all’uomo che andò a prenderlo all’uscita del carcere di Melfi per accompagnarlo ad abbracciare don Masino, agli arresti domiciliari a Perugia per gravi motivi di salute. “Te la consegno a te cosi tu hai tutto bello… con calma… di organizzarti…”, diceva Calvaruso parlando della macchina.

Francolino Spadaro, una volta finito l’incontro, ci tenne a fare sapere all’amico Calvaruso che il padre gli era riconoscente: “Ha detto due parole che per lui oggi è stato un miracolo capito?… dice: per me oggi è un miracolo…”.

Le indagini della Direzione distrettuale antimafia e dei carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo hanno poi documentato gli incontri fra Calvaruso e altri boss. Ad esempio con Francesco Colletti di Villabate e Filippo Bisconti di Belmonte Mezzagno, oggi pentiti, e con i vertice della famiglia mafiosa di Altarello di Baida, organica al mandamento della Noce: Paolo Castelluccio e Daniele Formisano.

Castelluccio è stato condannato a 4 anni per intestazione fittizia aggravata di beni. Sarebbe stato prestanome di Pietro Tummina che alla Noce era un pezzo grosso. Ed è fratello di Giuseppe Castelluccio, condannato per mafia a 10 anni e mezzo. Una pena che finirà di scontare nel 2023.

Formisano è stato condannato a dieci anni per mafia, pena che ha finito di scontare nel 2019. Gli incontri sono spesso avvenuti all’interno del parcheggio Europark di proprietà del padre di Calvaruso, Antonino, in via Paruta.


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