"La parola 'paziente'? | Da mandare in soffitta" - Live Sicilia

“La parola ‘paziente’? | Da mandare in soffitta”

Adelfio Elio Cardinale

L'intervista. "Credo che siamo sulla buona strada di una continua evoluzione culturale. Bisogna insegnare ai giovani dottori a costruire relazioni importanti con chi mette la sua vita nelle loro mani, nel segno della dignità della persona umana e della condivisione".

L'intervista con Adelfio Elio Cardinale
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Per il curriculum sterminato di Adelfio Elio Cardinale si rimanda a wikipedia. Tra le altre cose, il professore è anche il presidente comitato scientifico della Samot (composto da Antonio Zichichi, Silvio Garattini, Bruno Gridelli, Salvino Leone, Luigi Pagliaro, Antonio Spagnolo) la Onlus che da decenni offre il sollievo delle cure palliative. Ecco le sue riflessioni in occasione della giornata dedicata al sollievo.

Professore, alcuni ancora ritengono – sbagliando – che le cure palliative non siano vera e propria medicina, visto che si attivano quando ormai non c’è più nulla da fare.
“Un errore colossale e sempre più residuale ormai. Io credo nella medicina umana, che si occupa totalmente della persona. E penso che dovremmo mandare in soffitta anche il termine ‘paziente’ che allude a una condizione passiva. Chi soffre ha il diritto di essere un soggetto attivo del suo percorso”.

La Samot da anni ha ben presente questo traguardo. Tutti quelli che hanno condiviso il cammino di un parente in fase terminale conoscono l’impegno dei suoi operatori.
“Un’attività meritoria. In questo campo sono necessari ancora dei passi in avanti. Penso, per esempio, all’importanza dell’assistenza domiciliare che va sviluppata. La malattia vissuta a casa ha un peso diverso rispetto al decorso delle giornate in un ospedale”.

La medicina è pronta a compiere il salto di qualità dal sintomo alla persona?
“Credo che siamo sulla buona strada di una continua evoluzione culturale. Bisogna insegnare ai giovani dottori a costruire relazioni importanti con chi mette la sua vita nelle loro mani, nel segno della dignità della persona umana. Il cammino di accompagnamento di qualcuno che è ormai in fase terminale necessità di molte qualità e di molte figure che garantiscano sostegno fisico e psicologico”.

Qual è il problema maggiore di un uomo che sta per morire, secondo la sua esperienza?
“I problemi sono tanti ed è necessario trattarli tutti con rispetto e competenza. Si prova un’immensa solitudine che va lenita intanto con luoghi di accoglienza che somiglino alle strutture alberghiere più che gli ospedali. E c’è bisogno della vicinanza del medicus amicus che si faccia carico di quella sofferenza”.

Ma come si risponde alle domande di senso ultimo? Cosa dice un medico a chi gli chiede semplicemente: dottore, perché?
“Mi rifaccio a quel libro bellissimo del cardinale Martini con Umberto Eco ‘In cosa crede chi non crede’. Lì c’è una soluzione plausibile. Si può provare a rispondere con l’aiuto di due virtù fondamentali: carità e prudenza”. (rp)


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