PALERMO – Ci mancava solo il terremoto della formazione messinese. Nel dibattito interno al Pd, che si avvia al congresso diviso in sei correnti fin qui scatenate in un continuo “tutti contro tutti”, irrompe con prepotenza la “questione morale”. Il partito di Messina, già commissariato dalla segreteria regionale dopo le prime avvisaglie di scandali e la sconfitta alle amministrative, esce travolto dall’inchiesta messinese sulla Formazione, che tocca, anche se non in prima persona, il primo segretario regionale del Pd, Francantonio Genovese, recordman nazionale di preferenze dei democratici.
È l’ennesima tegola su quella che era la corrente “Innovazioni”, l’area dei postdemocristiani del Pd siciliano, tormentata negli ultimi temi da uno stillicidio di disavventure. A partire dall’arresto di Gaspare Vitrano per la vicenda delle presunte tangenti dell’eolico, proseguendo con l’esclusione dalle liste nazionali di Nino Papania, proseguendo con le indagini su Genovese e il cognato Franco Rinaldi, l’arresto di Francesco Riggio (candidato di punta della corrente alle ultime regionali), fino agli arresti di ieri. Quella che nella scorsa legislatura era forse la corrente più potente del partito, l’unica in grado di tenere testa all’ala “filolombardiana” di Lumia e Cracolici, oggi appare molto ammaccata e indebolita. E facile bersaglio di altre correnti.
Il segretario Giuseppe Lupo ieri è subito intervenuto sulla vicenda, annunciando la sospensione delle persone coinvolte. Un “segnale di discontinuità” non sufficiente però, secondo quanti nel partito stanno subito cavlacando lo scandalo per intestarsi la battaglia della “questione morale” nel partito. Fabrizio Ferrandelli, new entry del partito che punta alla segreteria regionale nel nome di Matteo Renzi, prendendo le mosse dai fatti messinesi parla di “una classe dirigente che ha fallito su tutti i fronti”. E il dioscuro Davide Faraone, renziano della prima ora, invita il partito a “non essere omertoso”. I renziani messinesi, dal canto loro, hanno chiesto le dimissioni di Genovese e Rinaldi. Ancora più dure le entrate dei giovani del Pd, che insistono sulla questione morale senza sconti, alla ricerca di un posto al sole nel dibattito precongressuale.
Insomma, si affilano le armi, anche in vista del primo antipasto congressuale, la direzione del partito convocata per sabato mattina a Palermo dal segretario Lupo. Il Pd arriva all’appuntamento diviso in almeno sei correnti. C’è il “Nuovo corso”, l’ala bersaniana del partito, cha come esponente di punta il sempre attivissimo Mirello Crisafulli, e che all’Ars fin qui ha fatto asse con l’altra corrente più rappresentata al parlamento regionale, cioè quella di matrice popolare che vede insieme l’incerottata corrente Innovazioni (in realtà poco più che un ricordo e peraltro orfana di Totò Cardinale, ormai impegnato nel progetto dei Democratici riformisti in stretto raccordo con Crocetta) e che a livello nazionale fa capo ad Areadem, la corrente di Dario Franceschini a cui ha sempre fatto riferimento tra gli altri il segretario Lupo, oggi a Roma per la riunione della commissione congresso del partito. Terza corrente in campo è quella che fa capo ad Antonello Cracolici, molto impegnato in questi giorni con la campagna RifayPd. I cracoliciani, rimasti un po’ ai margini nella spartizione delle poltrone nell’era crocettiana, si sono fatti sentire anche ieri, con Filippo Panarello, che dopo le notizie di Messina ha chiesto maggiore severità al partito sul codice etico. C’è poi la corrente renziana, leggerissima fino a pochi mesi fa, oggi in ascesa con una serie di nuovi innesti. Faraone e Ferrandelli raccolgono adesioni in giro per la Sicilia e attendono le mosse del sindaco di Firenze, la cui candidatura alla segreteria non è ancora decisa. C’è poi la piccola corrente di Enrico Letta, che domani si riunisce a Palermo, e che in questo momento gode della luce riflessa del premier. E infine c’è Rosario Crocetta e il suo Megafono della discordia. Sul quale continua il fuoco di fila delle altre correnti, soprattutto degli ex ds e dei renziani. Il caso Megafono adesso è finito all’attenzione della commissione nazionale di garanzia del partito, quella presieduta da Luigi Berlinguer, che, scrive oggi Repubblica, dovrà pronunciarsi per il 23 luglio sulla vicenda, dopo che il movimento di Crocetta e Lumia (entrambi formalmente dirigenti del Partito democratico) si è schierato alle ultime amministrative in diversi comuni contro il Pd. Il partito siciliano è stato molto severo sul punto, attaccando la creatura del governatore a più riprese.
Questo il quadro delle forze in campo. Difficile ancora prevedere le possibili alleanze. Molto dipenderà dal quadro nazionale e dall’eventuale discesa in campo per la segreteria di Matteo Renzi. Contro il quale si potrebbero coalizzare forze diverse che potrebbero portare in Sicilia a un armistizio tra correnti che fin qui si sono fatte la guerra, capovolgendo gli equilibri regionali del partito. Visto che non è un mistero che Rosario Crocetta non è esattamente un fan del sindaco di Firenze. Gli antirenziani del Pd dovranno forse tenerne conto.
Ma c’è anche chi tenta di costruire un non facile percorso unitario. Il segretario Lupo e il capogruppo all’Ars Baldo Gucciardi in questi giorni tentano di tessere la tela per portare il partito a una soluzione condivisa. Che parta dai contenuti, prima che dai nomi. “Dobbiamo imparare dagli errori del passato – dice Gucciardi -. Basta guardare a come il Pd siciliano è uscito dalla formazione del governo nazionale (un solo sottosegretario, Beretta, in tutta la squadra lettiana, ndr). Un Pd siciliano forte e compatto può fare il bene della Sicilia. Su questo sono in corso delle interlocuzioni che fin qui sono state molto positive”.
Al di là delle tattiche precongresuali, insomma, i democratici cercano di trovare una quadra che garantisca un armistizio tra le correnti. E che possa portare a un nome che metta d’accordo tutti. La direzione di sabato mattina sarà un primo passaggio utile per testare la percorribilità di questa strada.