PALERMO – Arrestato, sospeso dal lavoro, condannato in primo grado e ora assolto. Per Maurizio Pedcione “il fatto non sussiste”: la terza sezione della Corte d’appello ribalta la sentenza di primo grado.
L’ex comandante dei vigili urbani di Palermo non è colpevole di porto e detenzione in luogo pubblico di armi da guerra. In primo grado gli erano stati inflitti undici mesi di carcere con la sospensione condizionale della pena. Non conosciamo ancora le motivazione, sappiamo, però, che il legale di Pedicone, l’avvocato Marcello Montalbano ha sostenuto che quando Pedicone fu sorpreso mentre giocava a fare la guerra non si trovava in un luogo pubblico, ma in un terreno privato.
Il dirigente comunale fu bloccato, assieme ad altre tre persone, mentre sparavano in un poligono improvvisato nelle campagne di Portella della Ginestra. Per la precisione, in un terreno tra la vecchia strada provinciale 20 e la statale 624 Palermo-Sciacca. E scattarono gli arresti. Pedicone aveva pure provato a patteggiare una condanna a dodici mesi, considerata troppo bassa e dunque respinta dal pubblico ministero. E proprio con il patteggiamento avevano saldato il conto con la giustizia gli altri protagonisti della vicenda. Per Silvestre Venturella, giardiniere del comune di Monreale, la pena fu di due anni. Tre anni e otto mesi, invece, quella patteggiata dall’amministratore di condomini Francesco Cuomo. Cuomo era il proprietario del laboratorio clandestino scoperto dai carabinieri del gruppo di Monreale dove venivano modificate arme e munizioni da guerra. Del gruppo faceva parte anche l’imprenditore informatico italo-brasiliano Gabriele Di Pietro che patteggiò un anno e otto mesi.
La condanna di primo grado consentì comunque a Pedicone di salvare il posto di lavoro. Un anno, infatti, era il tetto massimo di pena entro il quale l’ex comandante della polizia municipale avrebbe conservato l’incarico di dirigente coordinatore del settore Servizi alla collettività (oggi è all’ufficio Igiene pubblica e Sanità ndr). Un solo giorno di carcere in più avrebbe fatto scattare, come previsto dalle restrittive norme del nuovo contratto di lavoro dei dirigenti, il licenziamento senza bisogno di aspettare che la condanna diventasse definitiva.
Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, Pedicone si era difeso sostenendo di non avere mai sparato, prima di allora, fuori da un poligono regolare e che aveva portato solo un fucile da caccia regolarmente denunciato. Alla vista delle armi di Cuomo, però, non aveva resistito. E che armi: una pistola Skorpion, un mitragliatore Bren, una mitraglietta Thompson e una Pts in dotazione ad eserciti e forze speciali di mezzo mondo. Oggi la svolta, con la sentenza di primo grado che è stata ribaltata. “Sono ancora emozionato – dice Pedicone -. Si chiude con esito favorevole un brutto periodo della mia vita”. C’è qualcosa che si rimprovera per quanto accaduto? “Ogni tanto può capitare di lasciarsi travolgere, nostro malgrado, dagli eventi. Una cosa è certa: ho sempre avuto e sempre avrò rispetto per il lavoro della magistratura che ha fatto tutto ciò che andava fatto”.