Perché protesto e non smetto - Live Sicilia

Perché protesto e non smetto

Abbiamo chiesto a una studentessa di raccontarci questi giorni di protesta a scuola. E lei lo ha fatto, parlando di contenuti, di cose. Alcune magari discutibili, eppure sempre di sostanza.

L'OPINIONE
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3 min di lettura

PALERMO- E’ già un paio d’anni che faccio politica nei licei, con i miei coetanei e le mie coetanee mi organizzo nei collettivi e attraverso questi provo a costruire la protesta nella mia terra, Palermo, e in questo paese allo sbando. Insieme agli studenti di tante altre scuole palermitane , riunite nel Coordinamento Studenti Medi Palermo, è da tre anni che rilanciamo la protesta contro i vari provvedimenti che stanno colpendo la nostra vita e oltreché, a mio avviso, l’esistenza stessa di una scuola pubblica intesa come istituto formativo per noi giovani.

Dalla Gelmini a Profumo passando per il decreto Aprea e i tagli ministeriali a fondi e personale, il materiale davvero non ci è mancato. C’è chi definisce questi provvedimenti come interventi necessari alla razionalizzazione della materia: la formazione pubblica. E giù quindi con tagli, licenziamenti, ritirata strategica dello stato a favore di privati, di soffocanti gerarchie, di autoritarismi e disciplinamento. Ma l’idea di razionalizzare le spese prevede e porta con sé un assunto: che la formazione pubblica abbia vissuto al di sopra delle proprie possibilità, come se ci si fosse divertiti a spese dello Stato. Se certo sprechi non ne sono mancati mi è comunque difficile credere che ciò sia vero. La scuola che io ho conosciuto, per la mia esperienza e per quella riportatami, dai miei fratelli e sorelle per esempio, o dai miei amici, è una scuola da molto tempo in enorme difficoltà: strutturalmente tanto per cominciare.

Gli istituti sono fatiscenti, non esistono strutture e attrezzature di supporto alla didattica. La stessa qualità degli insegnamenti non è all’altezza: i professori o non risultano abbastanza qualificati, o semplicemente non ce la fanno a vivere delle pessime condizioni cui il loro ruolo è stato costretto in questo paese. Di abbondanza non si è vissuto insomma. Eppure la risposta che i governanti è stata sempre e solo quella del taglio e cucito. Un paradosso. E se la scuola pubblica già non ci piaceva, questa ci piace ancora meno.

C’è poi un quadro più generale senza il quale il mio bisogno di lottare resta indefinito: una tela i cui soggetti sono crisi economiche, speculazioni finanziarie e bancarie; c’è spazio per le diseguaglianze economiche e sociali, per l’incessante devastazione ambientale nel nome del” sacro dio profitto”; questo quadro si colora della tristezza di politici che non hanno alcuno funzione se non quella di garantire i guadagni ai soliti ricchi e che non rappresentano altro che non siano interessi individuali; non può mancare uno spazio alla guerra, sempre più spesso definita “umanitaria” da chi si vede da essa riempito il portafoglio. C’è la disoccupazione giovanile e la mancanza di reddito e diritti per un numero sempre maggiore di persone. Infine, questo quadro si riempie delle cupe tinte dei manganelli, degli scudi e dei lacrimogeni a difesa di pochi arroccati nei loro palazzi da cui ci affamano; e il rosso del sangue di chi da queste cose non si fa spaventare. Lottare per non avere paura. Lottare perché qualcosa di diverso si possa costruire collettivamente. Ecco perché una studentessa di 17 anni lotta … fiduciosa che prima o poi tutto cambierà!


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