PALERMO – “Fino a quando resteremo al 64% di posti occupati in sala non sarò soddisfatto, se quel numero non sale vorrà dire che non ce l’avrò fatta. Mi misuro anche su un numero”. Ha le idee chiare Francesco Giambrone, fino a qualche giorno fa assessore alla Cultura del comune di Palermo e oggi, per la seconda volta, sovrintendente del Teatro Massimo. Un ritorno, dopo dodici anni, alla guida di un’istituzione culturale cambiata, così come i tempi. Il primo obiettivo sarà aumentare gli spettatori del 30% e recuperare il rapporto con la città. Ma l’intervista è anche l’occasione per un bilancio di due anni a Palazzo Ziino: “La candidatura a capitale della cultura? Sarei ipocrita se non ammettessi che l’esclusione è stata un grande dolore, ma resto convinto che ne è valsa la pena e che abbiamo perso per altre cause”.
Lei ritorna al ruolo di sovrintendente dopo dodici anni. Che effetto le fa?
“L’effetto più bello è stato il bentornato che ho ricevuto da parte di questa casa, perché il teatro è come una casa e i dipendenti sono coloro che la abitano tutti i giorni. Ho ricevuto da tutti un’accoglienza molto bella, in tantissimi mi hanno detto ‘bentornato’. È la cosa più bella che mi porto dentro. Il Teatro Massimo è l’istituzione culturale più grande, importante e prestigiosa della Sicilia. Ne riprendo la guida dopo tanti anni in cui tante cose sono cambiate. Sento pochi ‘déjà vu’ e un grande senso di responsabilità rispetto ai grandi cambiamenti che hanno attraversato questo mondo negli anni, cambiamenti che ho vissuto in un’altra parte dell’Italia, in un teatro in qualche modo della stessa tipologia di questo, il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino a Firenze. Ma siccome ogni teatro rappresenta una storia diversa e un’avventura differente, anche il quadro di contesto va correttamente analizzato in maniera diversa. C’è molto senso di responsabilità per un impegno che arriva in un momento complicato per la vita di questi teatri e il bentornato mi carica di ulteriore responsabilità”.
Lei è stato fino a pochi giorni fa assessore alla Cultura del comune di Palermo. Tracciamo un bilancio di questi due anni: cosa considera un successo e cosa no…
“L’ho scritto in quella lettera inviata l’ultimo giorno di mandato ai dipendenti, a chi cioè aveva fatto con me questo cammino. Quando ho scritto che sono stati anni difficili e duri ho scritto esattamente quello che penso anche oggi, a qualche giorno di distanza e a mente più serena. La città era ed è in una condizione di grande criticità: c’è una gran parte della città dolente, molti problemi sono stati affrontati e risolti, molti altri non sono stati ancora risolti e quindi perdura una condizione di durezza della vita quotidiana. Per chi fa l’amministratore e sente il peso e la responsabilità di cosa significhi fare l’amministratore pubblico, al di là della delega assegnata, il tema vero non può essere se una delega ha funzionato oppure no, ma cosa si può fare insieme perché la città recuperi condizioni di vita quotidiana accettabili, e comunque migliori rispetto alla condizione da cui si partiva. Questa è la ragione principale della difficoltà e della durezza di questi due anni che sono stati molto impegnativi e che ho cercato di portare avanti cercando di ascoltare il più possibile la città, cosa che sto provando a fare anche adesso in teatro, così come sta facendo sin dall’inizio anche il sindaco Orlando. La cosa di cui sono contento è il lavoro sul recupero della fruibilità dei tantissimi spazi negati. Ma è giusto ripensare alle condizioni di partenza, a come abbiamo trovato la città nel maggio del 2012. Guardi, potremmo sintetizzare questi anni così: ‘Dalle 170 tonnellate di immondizia che abbiamo trovato ai Cantieri culturali della Zisa, a Palermo candidata a capitale europea della cultura’. Come vede, non ho problemi a citare e ribadire l’importanza di quella candidatura, indipendentemente dal fatto che la città non sia stata selezionata. Dentro i cantieri si erano accumulate negli anni 170 tonnellate di immondizia. Siamo partiti dal togliere quella immondizia. Quel luogo, che oggi è di nuovo un motore culturale e di sviluppo per la città, era chiuso; la Torre di Tadini era ridotta in pezzi e abbandonata in mezzo a quelle 170 tonnellate di immondizia, un emblema del decadimento della vita civile di una intera comunità. Quando permetti che in uno spazio pubblico si accumulino 170 tonnellate di rifiuti, lo trasformi da spazio di vita e cultura a spazio di criminalità e malaffare. Se in mezzo a quei rifiuti c’erano amianto, sette lavatrici, un trattore fatto a pezzi, rifiuti speciali, vuol dire che quei Cantieri, di cui tutti oggi parlano come uno dei luoghi più vivi e attivi della città e come il centro delle politiche culturali cittadine, erano di fatto sottratti al controllo di legalità. Partendo da questo siamo arrivati a candidare Palermo a capitale della cultura”.
Ecco, andiamo alla bocciatura di Palermo capitale della cultura. Quanto è stata grande la sua delusione?
“È stata una grande delusione e grande dolore, non lo posso negare. Sarebbe scorretto negarlo. Per un attimo ho pensato che il lavoro fatto non avesse avuto senso. Ma è stata solo la prima reazione, a caldo; poi, metabolizzando la delusione, ho capito che quel percorso era stato comunque importantissimo, per il grande esercizio di partecipazione messo in campo e per averci offerto l’occasione di redigere una sorta di piano strategico per la cultura. Un piano che si sta realizzando passo passo. Tra qualche giorno ci sarà un’altra bella notizia nella direzione della realizzazione concreta di quel progetto. E anche questo fa capire che avevamo lavorato bene. Come disse il sindaco subito dopo l’esclusione dalla candidatura, la cosa importante era aver fatto un pezzo di strada e continuare a portare avanti il progetto indipendentemente dalla candidatura. Quella scelta di andare avanti comunque, sono convinto che sia stata una scelta molto giusta”.
Però Palermo, insieme a Bergamo, ha anche sollevato dei dubbi sulla scelta delle città finaliste…
“È vero. Noi abbiamo scritto delle cose, che resteranno riservate, al presidente della Giuria internazionale, al presidente del Consiglio e al ministro Bray. Se l’abbiamo fatto è perché riteniamo di avere ragioni per segnalare delle anomalie che poco avevano a che fare con la qualità del progetto di candidatura. Tuttavia, siccome voglio essere sereno nell’analisi delle cose, pur avendo molti motivi per pensare a cause diverse, ho provato ad analizzare in altro modo quella decisione, visto che non mi piace la dietrologia. La candidatura di Palermo era sfidante e difficile, piena di criticità perché la città era piena di criticità e noi avevamo scelto deliberatamente di non nascondere quelle criticità. Abbiamo messo sul piatto i nostri problemi, siamo stati onesti. Quindi abbiamo presentato un progetto complesso, articolato, rischioso. E invece sono state selezionate città già abbastanza pronte: Siena, Lecce… La Giuria ha preferito fare scelte che non avrebbero riservato sorprese. Noi sapevamo delle criticità di Palermo, abbiamo detto che c’erano ma anche che non avrebbero rappresentato un ostacolo alla candidatura della città. Pensi che hanno escluso anche L’Aquila. E quando neghi a una città come quella l’opportunità di rinascere, di ricostruire il suo centro storico dopo la tragedia del terremoto, vuol dire che fai la scelta più comoda. Penso che sia stato un peccato, ma per chi ha fatto quella scelta: avrebbero dovuto scegliere L’Aquila, Palermo, le città più problematiche e complesse che scommettevano su un grande progetto di rigenerazione urbana. Una scelta sfidante che avrebbe messo i palermitani o le comunità di altre città davanti alla responsabilità di doversi rimboccare le maniche. Siena ha messo sul piatto alcune decine di milioni, noi 340, compresa tutta la capacità di indebitamento del Comune di Palermo, a dimostrazione di come col sindaco scommettevamo su quel progetto. Palermo 2019 era l’occasione per la città di una profonda rigenerazione urbana. Hanno scelto, invece, la strada più comoda e rassicurante”.
Torniamo al suo bilancio da assessore…
“Tra quel punto di partenza, l’immondizia accumulata ai Cantieri, e quello di arrivo, la candidatura, metto la riapertura di tutti gli spazi pubblici, dallo Spasimo alla chiesa di san Mattia al Noviziato dei Crociferi, compresa la gipsoteca di Palazzo Ziino che presto riapriremo con un nuovo allestimento realizzato insieme all’Accademia delle Belle arti. Ma ci metto anche l’avere iniziato a sperimentare modelli innovativi di gestione degli istituti culturali e per questo cito l’Ecomuseo del mare, frutto di una bellissima partnership pubblico-privato in cui fondi privati sono stati usati in spazio che resta pubblico per realizzare una nuova Istituzione culturale. Il Comune ha usato fondi e know-how privati per un spazio co-gestito con il privato no profit. E poi, non è un museo del mare ma un Ecomuseo: un luogo di comunità, fortemente innovativo. Un sito che sta andando benissimo, che può avere ulteriori sviluppi, una realtà interessante; un modello da replicare. Tra le cose positive ricordo anche la politica di tenere aperti gli spazi espositivi e museali anche nei festivi come Ferragosto, Pasqua e Capodanno, o le aperture notturne: se c’è un incremento chiaro del turismo che si attesta sul 10% rispetto all’anno precedente, così come si evince dai dati di Federalberghi, non è merito solo di queste aperture ma sicuramente queste hanno contribuito. Abbiamo istituito la tassa di soggiorno, una imposta che non grava sui cittadini ma sui turisti. I primi dati del gettito sono molto interessanti: oltro 250mila nei primi due mesi. Nuove risorse da investire in turismo e cultura con un’imposta che non grava su cittadini e che c’è ormai in ogni parte del mondo”.
E le cose negative?
“Il livello di resistenza che ho trovato sull’obiettivo della apertura delle biblioteche con orari in linea con gli standard di tutto il mondo. Le biblioteche oggi sono aperte in orari di ufficio, offrono cioè un servizio a misura di impiegato comunale e non di utente. Sono chiuse il sabato, la domenica e i festivi. E questa è una delle ragioni per cui sono poco frequentate. Ho provato ad aprirle dalle 9 alle 18, sabato compresi. Siamo andati avanti per tre mesi con enormi resistenze interne e, in quel periodo, gli utenti sono aumentati fino al 73%. Segno che era giusto tenerle più aperte e che la domanda era altissima. Quando per un cavillo burocratico-sindacale, in seguito a una sentenza del giudice del lavoro, siamo stati costretti a tornare ai vecchi orari, abbiamo ricominciato un percorso che è ancora in corso e tutto è tornato come prima. Questa è la cosa che più di tutte considero un obiettivo non realizzato. E non posso negare che mi spiace non avere registrato una mobilitazione della città su questo tema, che non è affatto secondario: parliamo di luoghi di comunità sul modello delle ‘Public library’, non solo di un luogo in cui vai a consultare o prendere in prestito un libro. In America nelle biblioteche trovano rifugio anche i senza casa, sono luoghi pubblici in cui in tanti trovano conforto. Questa città farà un passo avanti quando tra i suoi servizi regolari ai cittadini avrà anche biblioteche aperte tutti i giorni come luoghi in cui ci si ritrova, in cui si leggono anche giornali e libri ma soprattutto che sono spazi pubblici e liberi di incontro e di comunità. I musei comunali sono arrivati a standard elevati di servizi; le biblioteche, purtroppo, no”.
Chi sarà il suo successore?
“Non lo so, in questo momento è il sindaco. Ed è il migliore che potessi immaginare”.
Andiamo al Teatro Massimo. Quali sono i suoi obiettivi, ora che è sovrintendente?
“Il Massimo riparte dalla sua forza interna, che è fatta dalle tante persone che ci lavorano e che hanno attraversato anche periodi burrascosi cercando di portare in scena lo spettacolo ogni sera nel migliore dei modi. Per me, riparte anche da una fase di ascolto. In questi primi giorni sto ricevendo una valanga di informazioni e ho incontrato tutto il personale per arricchire questa fondamentale fase di ascolto. Volevo sentire da loro, da quelli che vivono il teatro tutti i giorni da dentro, che ne conoscono le potenzialità e le criticità, cosa pensano della fase che si sta attraversando. Approfitterò della congiuntura temporale nella quale mi sono insediato: il 4 agosto il teatro andrà in ferie; io non andrò in ferie ma non avrò l’urgenza del quotidiano e il mese di agosto sarà il momento buono per far sedimentare queste informazioni in modo da essere pronto a settembre per ripartire. I fondi pubblici? Sono sempre uno dei problemi, perché non vi è mai certezza pluriennale degli stanziamenti. Ma ci sono interlocuzioni positive con le istituzioni e sento attenzione verso il teatro da parte della politica. I teatri non sono luoghi di spreco, sono luoghi di produzione alta e rappresentano grandi occasioni di sviluppo. E se spesso, in passato, hanno sprecato risorse anche ingenti, oggi i tempi sono cambiati: molti sprechi sono stati eliminati e oggi sono aziende di eccellenza che danno lavoro e creano sviluppo. C’è un dato, però, che mi ha fatto molta impressione e riguarda uno degli indicatori dello stato di salute del teatro, ovvero la percentuale di occupazione di posti della sala. Da questo punto di vista, c’è un grosso problema e va affrontato subito”.
In che modo?
“Premesso che i conti devono essere in regola e che bisogna puntare alla qualità, e queste sono pre-condizioni necessarie, c’è anche altro a cui guardare. Avere i conti in regola non è sufficiente per poter dire che il teatro è in buona salute. Questo teatro mediamente ha per le opere il 64% dei posti occupati, per il balletto il 62% e per i concerti il 34%. Gli abbonati nell’arco di un decennio si sono dimezzati, scendendo a 4mila. Questo è il tema principale, fermi restando conti in ordine e qualità. Se non si recupera un rapporto forte col pubblico, il teatro non sarà mai in buona salute. La mia prima azione, infatti, è stata quella di creare uno staff interno di marketing, intersettoriale, che abbia come solo obiettivo finale far crescere il tasso di occupazione dei posti dal 64% al 94%. Non è un obiettivo che si raggiunge in un mese o in un anno. Ma è l’obiettivo che dobbiamo darci per confermare che è davvero cambiato il rapporto tra il teatro e la città. Abbiamo già tenuto incontri con albergatori e tour operator: stiamo chiedendo agli stessi albergatori di essere promotori della vendita del nostro prodotto. E poi, questo teatro ha dalla sua un senso di appartenenza, un orgoglio di appartenenza che non ho trovato altrove. La sfida è quella di superare quel 64%, e fin quando quella percentuale non migliorerà vorrà dire che non ce l’avremo ancora fatta. Mi misuro anche su quel numero. Ma sa cos’è? In questi anni nel nostro Paese c’è stata una sorta di deriva aziendalistica nella gestione degli istituti culturali, compresi i teatri: il teatro è sì un’azienda ma è una azienda culturale, una azienda molto speciale e profondamente diversa dalle altre. Non ci si può fermare al bilancio in ordine. Che è indispensabile: un teatro col bilancio in deficit è un’azienda in grave affanno. Ma un teatro col bilancio in ordine ma che perde la metà degli abbonati è una istituzione culturale allo stesso modo in grave affanno e non in buona salute”.
Questo vale per la promozione del teatro verso i turisti. E per i palermitani?
“Io credo che la cosa più importante sia elaborare un progetto con coordinate chiare e proporlo al pubblico in modo che il pubblico possa condividerlo. In fondo è come se si stipulasse un patto fra il teatro e il suo pubblico; e quel patto non va tradito mai. Dovremo spiegare che idea abbiamo di questo teatro per i prossimi cinque anni e condividere quell’idea e quel progetto con chi sta qui dentro e con il pubblico. La mia abitudine è quella di seguire tutti gli spettacoli, perché chi abita la casa deve stare in mezzo al pubblico, deve essere presente. Il pubblico deve sapere con chi discutere, a chi dare suggerimenti, con chi confrontarsi. Quel patto va rinnovato ogni sera. Senza questo rapporto forte e costruito nel tempo non si va avanti. Vuole un altro esempio? Ho fatto riaprire il cancello che dà accesso alla scalinata, non è possibile lasciarla chiusa. Qualcuno mi ha obiettato che i cittadini la sporcheranno. Non credo accadrà; ma se sporcheranno, ripuliremo. Non può essere questo il problema. Il ricordo più bello della mia vita è legato a questo teatro, al giorno in cui nel 2002 insieme a Marco Betta andai a prendere Claudio Abbado al Palace di Mondello per accompagnarlo in teatro per le prove: ci chiese di passare davanti al teatro, era una bellissima giornata di fine aprile, la scalinata era piena di ragazzi seduti sulle scale. Lui lo vide e mi disse: ‘Che meraviglia questa scalinata piena di ragazzi’. Ecco, la scalinata aperta e liberamente accessibile ti dà la dimensione che teatro e città vivono un legame indissolubile, che dialogano, che il teatro e la città hanno un rapporto forte e inscindibile. Oggi, la piazza, la scalinata, il foyer e la sala sono spazi wi-fi free. Spero che in tantissimi vengano a vivere la piazza e il teatro come spazi pubblici in cui ritrovarsi. La piazza deve rinascere ed essere riqualificata; per questo sono molto contento dell’allargamento dell’area pedonale su cui ho molte idee per il futuro. Anche per questo apriremo il caffè del teatro, e sarà uno spazio fruibile indipendentemente dagli orari di apertura del teatro. Un’altra occasione per vivere pienamente il teatro e la piazza”.
E per l’estate?
“C’è l’appuntamento con Piovani il primo agosto al Teatro di Verdura, ancora due concerti allo Steri per Univercittà e da qualche mese abbiamo iniziato a usare il foyer come luogo per piccoli concerti, un’idea di Fabio Carapezza che sta funzionando benissimo. Avremo due concerti aperitivo alle 19:30, con l’aperitivo compreso nel biglietto di otto euro. Chi vuole ricominciare un rapporto con il teatro, può passare il tardo pomeriggio qui sentendo buona musica e trascorrendo un po’ di tempo con noi. Poi, in settembre si riprende la stagione lirica con ‘La figlia del reggimento’. E, comunque, anche in agosto il teatro sarà aperto tutti i giorni, compreso Ferragosto, e regolarmente visitabile. Un altro piccolo segno di dialogo con la città e di servizio ai tanti turisti che affollano Palermo”.