A pranzo con i boss di Palermo | Nasce l'impero delle scommesse - Live Sicilia

A pranzo con i boss di Palermo | Nasce l’impero delle scommesse

L'ascesa di Benedetto Bacchi fra fama ("I miliardi sono assai") e presagi ("A questo lo arrestano").

PALERMO – “Tommaso Di Giovanni aveva nelle mani… diciamo il responsabile della Goldbet che vanno aprendo questi centri… e ogni centro che si apre, rilasciava una quota sul territorio”. Correva l’anno 2014 quando Antonino Zarcone, boss di Bagheria e pentito, parlava di Benedetto Bacchi, l’imprenditore che si mise in affari con i boss di Palermo e provincia per diventare il “signore delle scommesse”.

Quattro anni fa, Bacchi lavorava ufficialmente per un altro gruppo, mentre sottobanco si impegnava per acquisire il marchio “B2875”. Una sigla che richiama la data di nascita del calabrese Mario Gennaro, divenuto collaboratore di giustizia, che ha ceduto il marchio  a Bacchi, arrestato due giorni fa dai poliziotti della Squadra mobile di Palermo e del Servizio centrale operativo.

Zarcone raccontava di un pranzo organizzato in un ristorante di Palermo. Ad un certo punto “Tommaso (Tommaso Di Giovanni era il capomafia di Porta Nuova, ndr) ha portato un ragazzo che è quello per le estorsioni delle macchinette da gioco, per le sale gioco… perché doveva mandare dei soldi da noi a Bagheria… e se ne stava interessando Di Giovanni per quanto riguarda sta società di gioco”.

Zarcone non ricordavail nome di Bacchi. Presto le cose sarebbero cambiate. I boss di tutti i mandamenti mafiosi avrebbero fatto affari, alla pari, con lui e il suo cognome sarebbe divenuto popolare. Così raccontava Vito Galatolo, pentito dell’Acquasanta, uno che di mafia e scommesse se intende. Scommetteva fino a 500 mila euro in una sola giornata: “… tutte ste macchinette in tutta Resuttana. Tutto quello che c’era a Resuttana li metteva Nenè. Alla Noce, Nenè metteva tutto quello che c ‘era alla Noce. A Pagliarelli, Nenè metteva tutto quello che c’era a Pagliarelli. Palermo Centro… e metteva a Palermo”.

Non accade più che qualcuno, come era successo nel caso di Zarcone, non ricordasse il nome di Bacchi. Era corteggiato perché garantiva soldi facili che riempivano le casse di Cosa nostra. Le famiglie mafiose potevano così pagare gli stipendi dei picciotti e le spese dei detenuti. Bacchi versava una parte degli incassi delle agenzie ai boss del mandamento dove apriva i punti gioco. Facile e sicuro. Almeno così credevano ed invece la Procura di Palermo gli stava addosso.

In giro per la città si susseguivano gli incontri. Ce ne fu uno a cui parteciparono – i nomi li citava Francesco Nania, mafioso di Partinico ritenuto socio occulto di Bacchi – “Marchese, Fricano, Paolo ‘u calcagno’ e ‘pieruccio il nano’. I primi tre sono stati identificati in Mariano Marchese, boss di Santa Maria di Gesù deceduto alcuni mesi fa, Giuseppe Fricano, reggente del mandamento di Resuttana, e Paolo Calcagno, uomo forte a Porta Nuova. Si incontrarono in un appartamento. “… mi ha detto stringiamoci la mano dice affare fatto”, raccontava un altro dei partecipanti al business, Nino Pizzo.

Insomma, la fama precedeva l’arrivo dell’uomo d’oro delle scommesse. Di lui si diceva che faceva “girare tutti (i soldi, ndr) là dentro… come in una lavabiancheria “. Fama e cattivi e presagi: “Lo vedi a Ninì da un momento all’altro un giorno di questo se lo portano… questo è miliardario, i miliardi neanche sa dove metterli… i miliardi assai sono… sono assai, non si contano, non si contano”.

 


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