Priulla: “Faccioni enormi| e senza simboli di partito" - Live Sicilia

Priulla: “Faccioni enormi| e senza simboli di partito”

La docente di Sociologia analizza le caratteristiche della campagna elettorale etnea: dall’assenza di programmi alla latitanza dei simboli di partito. Un trend in sintonia con l’impoverimento del linguaggio della politica di cui si è occupata nel suo ultimo libro “Riprendiamoci le parole”. Priulla, poi, non si esime dal commentare anche l’inaugurazione della Piazza “cemento” Europa.

CAMPAGNA ELETTORALE
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Graziella Priulla

CATANIA. “Riprendiamoci le parole: il linguaggio della politica è un bene pubblico”. L’ultimo libro della docente universitaria Graziella Priulla ci consegna uno sguardo consapevole sui fenomeni della comunicazione e della politica. Un discorso che non si limita certo all’ambito nazionale. La sociologa, a LiveSiciliaCatania, dice la sua sulla campagna elettorale delle amministrative catanesi, con un monito: “bisogna pensare prima di parlare, chi ha una parola pubblica, giornalisti e politici in primis, ha una enorme responsabilità”. Tante, troppe le parole snaturate, ferite e tradite con una ricaduta sui contenuti e sulla democrazia: lo svilirsi del linguaggio equivale all’impoverimento del pensiero. Un glossario che emblematicamente si chiude con la parola “silenzio, che si può declinare in due modi: sì al silenzio sobrio dopo l’arrogante frastuono, no al silenzio complice degli indifferenti”.

Lei scrive che “il linguaggio e il pensiero sono interconnessi: il progressivo svilirsi del linguaggio ha per effetto prima l’impoverimento, poi l’inibizione del pensiero”. Questa considerazione è vera ancora oggi?

E’ più vera che mai, anzi è un fatto che è già accaduto. Le spiego. La gente, in genere, dice “vogliamo fatti non parole”. Ora, se per parole si intendono menzogne e false promesse è ovvio che non le vogliamo. Ma se ridiamo un senso alle cose che diciamo, le parole e il pensiero sono collegati. Non si può pensare bene se si parla male. Lo diceva già Nanni Moretti in suo film: chi parla male, pensa male e vive male. Il linguaggio non è altro che l’espressione del pensiero. Questo è vero anche in politica che è fatta di pensiero e di parole. Violentare il linguaggio vuol dire violentare la politica e la democrazia che è l’arte del dialogo e della parola, del racconto di scenari futuri. Racconto non vuol dire invenzione, ma vuol dire descrivere come vorrei che fosse il mondo e provare a realizzarlo. Se lo so descrivere non so come lo voglio il mondo. E se non so questo come faccio a creare fatti?

Insomma, in una parola: assenza di progettualità. Un fenomeno che riscontra anche nella campagna elettorale catanese per le amministrative?

La vedo da tanto tempo e anche in questa campagna. Questo è solo l’ultimo episodio di una storia che va avanti da troppo tempo. Cosa vuole essere questa città? Cosa vogliamo farne del mare, della montagna, delle strade, del verde? Tutte queste cose non ci sono. Penso all’inaugurazione di Piazza Europa. Hanno inaugurato il cemento in una piazza che si chiama “Europa” mentre l’Unione Europea ci chiede il verde, l’aria pulita e le piste ciclabili. E noi facciamo i parcheggi sul lungomare.

Nel suo ultimo libro cita Sciascia “mai come oggi quello che si dice ha più importanza di quello che si fa”…

Quello che si dice dovrebbe essere il prologo di quello che si fa. Quello che si descrive dovrebbe essere l’anticipo di quello che sarà. Oggi la politica è fatta soltanto di enunciazioni, che non sono soltanto promesse ma sono anche parole in libertà.

Ci fa un esempio?

Tutti invocano la pacificazione. Pacificazione vorrebbe dire che la politica è stare tutti insieme appassionatamente? Cioè che non esistono interessi, bisogni e classi differenti. È questa la democrazia? Dietro una parola che sembra una bella cosa, gentile ed educata si nasconde il vuoto cosmico. Come a dire: fanno un deserto, e lo chiamano pace. Questo è successo, hanno ucciso le opinioni e i pensieri.

Tra le parole più in voga, come scrive nel suo libro, c’è “indecisi”. Anche i recenti sondaggi sulle amministrative catanesi li descrivono come ago della bilancia e oggetto del desiderio per gli schieramenti in corsa…

Gli indecisi sono tanti anche a livello nazionale. Tra astensione e indecisione, su due persone che incontriamo: una non sa cosa fare. C’è un altro sondaggio che mi ha sconvolta: quasi la metà di coloro che hanno votato alle ultime politiche ha scelto negli ultimi tre giorni. Questo rimanda a un altro problema: le emozioni hanno sostituito totalmente la ragione. A forza di televisione strappacuore abbiamo imparato che bisogna emozionarsi per forza. Una cosa bella, per carità, ma la vita non può essere solo emozione. Serve una parte della vita e una del cervello dedicate anche al ragionamento. La politica si basa solo sulle emozioni. Si vota qualcuno perché “è simpatico” o “nu bello guaglione”. Io mi domando se queste sono categorie politiche, Se dietro le parole “sono indecisa”, “non so per chi votare” non ci sia un vuoto di senso. La politica è sempre stata fatta sulla base di un ragionamento, di una speranza legata ad una logica consequenziale. Questa campagna elettorale mi pare ancora peggiore delle altre. Guardiamo i manifesti. Negli anni cinquanta e sessanta erano molto scritti e proponevano dei ragionamenti. Dopo di che queste parole si sono sempre più asciugate fino a diventare slogan (confezionati secondo le regole del marketing pubblicitario). E le immagini hanno preso il sopravvento sulla parola. Comunque, negli anni ottanta le immagini erano immagini: piste ciclabili, la campagna, la città. Poi negli anni novanta, complice Berlusconi che ha capovolto il marketing politico, sono comparse le facce. Veniamo a oggi. Il fenomeno è ormai consolidato con ricadute locali, basta andare in un piccolo centro come Biancavilla. Ci sono dei faccioni enormi, a volte in formato sei per tre. Fino alla volta scorsa, per lo meno, c’era il simbolo di una coalizione, di un partito o di uno schieramento. Tutto sommato, tu capivi che se votavi per il candidato “x “ votavi per la destra o la sinistra. Adesso i simboli sono scomparsi. Oggi voto Francesco Rossi o Luigi Bianchi e non so perché.

Il fatto che molto spesso manchino i simboli può essere sintomatico di indecisione di collocamento, come è avvenuto durante le regionali?

Sì, i voltagabbana in Sicilia sono una storia antica, Il Gattopardo vuole dire anche questo. Vuol dire soprattutto che si vergognano. L’idea di aggregazione politica è diventata così sporca agli occhi della gente che sembrano volerti dire: “Non faccio parte di alcun partito” con il risultato che tu dai una delega totalmente in bianco. Voti il cugino, il figlio del portiere o l’amico che hai incontrato alla festa. Che senso ha?

E il proliferare di liste civiche?

E’ la stessa cosa. Il fatto è che si vergognano di appartenere a uno schieramento. In realtà non hanno neppure idea di cosa sia uno schieramento. Del resto, gli schieramenti sono diventati troppo simili tra loro. Un tempo avrei considerato questi discorsi “qualunquisti”, mi arrabbiavo a sentir dire “sono tutti uguali”, io vengo dalla storia del Pci, si figuri, noi avevamo della diversità un simbolo. Poi a poco a poco qualcosa è cambiato. Oggi il linguaggio è uguale per tutti. “I giovani”, “lo sviluppo”, “il popolo”, “la maggioranza”. Dicono tutti le stese cose.

Dando uno sguardo a simboli e loghi che idea si è fatta?

Guardi ho visto veramente di tutto, pure un cartellone con su scritto “Non vi prometto niente” e la faccia del candidato. C’è sicuramente una inflazione di campanilismo. Devono difendere l’indifendibile evidentemente. Qualcosa devono pure dirla, non possono mica fare un cartellone bianco. E’ tautologico, inutile quando la parola è vuota. “Io amo Catania”, “Io vivo Catania”, “Che bella Catania”. E allora? Il simbolo del partito è tradito e sbeffeggiato, il nome lo hai messo, cosa puoi aggiungere? Un targa automobilistica? Non dimostri di amare Catania nominandola, anzi più la nomini peggio è. Se tieni conto di come l’hai ridotta uno poi si chiede potevi amarla meno se questi sono i risultati.

Come si spiega il silenzio, quasi totale, del movimento Cinque Stelle qui a Catania?

Questo onestamente non lo so. Certo è che a Catania c’è una tale cappa dell’informazione che non filtra niente che il padrone non voglia. Grillo certo dà fastidio, a me non piace e detesto questo umorismo e i partiti padronali, considero Casaleggio letteralmente manicomiale e la loro classe dirigente sprovveduta e incompetente. Mi chiedo: come possiamo affidare i servizi segreti a persone che non sono in grado nemmeno di proteggere le mail? Ad ogni modo, questo silenzio cittadino mi stupisce. E’ vero che loro partecipano malvolentieri a dibattiti pubblici. Ho tre ipotesi. La prima è che Grillo vuole che in Sicilia rimanga soltanto il ricordo di se stesso: la traversata alla Mao Tse-Tung, il suo corpo tipo Mussolini, il virilismo che ha pagato tenuto conto dei risultati delle politiche. La seconda è che Grillo non si fida dei suoi candidati, spesso impreparati che posso facilmente farsi zittire. Terzo: c’è un ostracismo da parte dell’informazione locale. A mio avviso i Cinque Stelle avranno comunque successo, a dimostrazione che il disgusto della gente è così forte che non serve neanche fare la grande campagna elettorale, basta basarsi su quelli che gli altri rappresentano per sembrare diversi.

Torniamo ai cartelloni elettorali. Come mai Stancanelli non si è ancora mostrato con il proprio volto a differenza del suo principale competitor, Enzo Bianco?

Forse si vergogna. Anche perché al suo volto i catanesi, forse, associano cose non troppo gradevoli.

Come giudica i programmi? Trova il dibattito politico troppo legato all’invettiva o alla battuta di spirito?

La mia idea è che non ci siano, ma so che Bianco ha un suo programma. Bisogna chiarire, però, cosa si intende per campagna elettorale. Se un candidato è nuovo, per quanto si possa definire nuovo Bianco, è giusto che abbia un programma, per presentare un’ immagine alternativa rispetto a chi amministrato, diverso è il caso dell’uscente. Chi è stato sindaco deve presentare rendiconti. La democrazia funziona così: se hai fatto bene ti rivoto altrimenti no. C’è un rendiconto? Un bilancio discorso in pubblico o un elenco di cose fatte? Le faccio un esempio concreto. Con le donne di alcune associazioni, abbiamo collaborato con il Comune per un progetto contro la violenza sulle donne. Si sono limitati ad appendere uno striscione, pagato dalle associazioni per altro. Dopo di che abbiamo fatto delle proposte: dall’educazione di genere delle scuole alla creazione di una casa delle donne. Non ci hanno neanche risposto alle mail. Dimmi: cosa hai fatto per le donne in questa città? Una campagna elettorale seria prevede che tu mi dica cosa hai fatto per le donne in questa città. Dimmi quanti asili nido hai costruito. Io voglio un rendiconto.

A proposito di donne. Per la prima volta si voterà esprimendo la doppia preferenza di genere. Vittoria di civiltà o mezzo per alimentare il controllo del voto?

E’ vero che c’è il problema del controllo del voto che si può eliminare attraverso la creazione di sezioni più grandi, venti sezioni invece di cento (cosa che nessuno vuole fare). Ma in un Paese in cui non si votano le donne questa era l’unica soluzione. Ad ogni modo, il fatto di avere una grande presenza femminile (necessario per ragioni statistiche, visto che rappresentiamo il 50% della popolazione) ha un senso se queste donne imprimono alla politiche uno sguardo diverso. Se le donne che votiamo si rendono simili agli uomini, facendo inciuci e sgomitando per emergere, non serve a nulla. Io voglio sapere quali donne, in nome di quale progetto. Non mi basta sapere che hai una vagina per darti il mio voto. E invece, a Catania abbiamo spesso eletto donne che non si differenziano dai maschi.

 

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