L'amante di Messina Denaro: Bonafede condannata a 11 anni

L’amante di Messina Denaro: Bonafede condannata a 11 anni e 4 mesi

La sentenza per la maestra di Campobello di Mazara

PALERMO – Entra il giudice nell’aula al terzo piano del nuovo palazzo di giustizia di Palermo. Laura Bonafede si alza in piedi. È in video collegamento. Fino ad un istante prima era seduta su una sedia in un angolo della saletta del carcere di Messina. Ascolta il verdetto del giudice per l’udienza preliminare Paolo Magro.

Laura Bonafede, l’amante di Matteo Messina Denaro, è stata condannata a 11 anni 4 mesi di carcere per associazione mafiosa. La richiesta era di 15 anni.

Il procuratore Maurizio de Lucia, l’aggiunto Paolo Guido e i sostituti Gianluca De Leo e Piero Padova, hanno ricostruito il suo ruolo che andrebbe molto oltre quello di confidente e depositaria dei segreti di Messina Denaro.

La maestra Bonafede sarebbe stata un’associata mafiosa. Per un periodo avrebbe convissuto con il capomafia. Poi si erano allontanati per prudenza. Infine, poco prima dell’arresto, tornarono a incontrarsi davanti al banco salumi di un supermercato.

Laura Bonafede è figlia del boss deceduto Leonardo, cugina del geometra Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato l’identità al padrino per curarsi, del dipendente comunale, e omonimo del geometra, che ha provveduto a fare avere a Messina Denaro le ricette mediche, e di Emanuele Bonafede, uno dei vivandieri del boss stragista arrestato insieme alla moglie Lorena Lanceri.

La maestra è sposata con il mafioso Salvatore Gentile, ergastolano per avere commesso due efferati omicidi su ordine proprio di Messina Denaro. Ed è madre di Martina Gentile, anche lei finita sotto inchiesta perché la rete di protezione del padrino deceduto è stata soprattutto una questione di famiglia.

La relazione risalirebbe al 1996. Messina Denaro andò a trovare a casa il padre della donna per ottenere il permesso di frequentare la figlia. Solo a partire dal 2007, però, Laura Bonafede sarebbe stata coinvolta dal boss di Castelvetrano nella gestione dei propri interessi.

Ad un certo punto avrebbero pure convissuto insieme alla figlia Martina indagata per favoreggiamento. Dal 2015 la convivenza sarebbe stata interrotta per lasciare spazio ad una fitta corrispondenza. Di tanto in tanto si incontravano ad esempio nel “tugurio” uno dei luoghi rimasti misteriosi. “Eravamo una famiglia”, scriveva il capomafia in un pizzino diretto a Blu, uno dei nomi in codice usati per la maestra.

Di famiglia ha parlato l’imputata nel corso delle dichiarazioni spontanee dello scorso luglio in cui ha respinto l’accusa. Di sé ha parlato come di una donna rimasta da sola dopo gli arresti del padre e del marito. In Messina Denaro avrebbe trovato aiuto e sostegno, ma nulla saprebbe del suo ruolo mafioso. Una tesi che non ha convinto il giudice.

Lei si occupava del sostentamento e della sicurezza del boss, gli faceva la spesa durante la pandemia Covid nel timore che si ammalasse, condivideva con lui i linguaggi cifrati per i pizzini, affari e informazioni sulla cosca.

Una tesi sempre contestata dagli avvocati Raffaele Bonsignore e Antonio Gargano secondo cui, non c’è alcuna prova del contributo di Laura Bonafede alla causa mafiosa. Non c’è un solo fatto concreto che dimostri la sua partecipazione a Cosa Nostra.

Nelle lettere che si scambiavano parlavano del loro rapporto, ma Laura Bonafede non ha veicolato alcun messaggio per conto di Messina Denaro. È vero, ad esempio, che scrisse “Perlana ci serviva” in riferimento al mafioso Franco Luppino, uno dei fedelissimi del latitante, ma solo in risposta a Messina Denaro. È vero che nella lettera scriveva: “Quando dici che gliela farai pagare che non ti fermi, ti posso dire che ne sono certo, ti conosco anche sotto questo aspetto. Non ti nego che mi sarebbe piaciuto che avessi fatto due piccioni con una fava. Solimano e Pancione”. Ma era solo la reazione al fatto che i due uomini avevano messo in giro la voce della loro relazione impedendo di fatto che Laura Bonafede e Matteo Messina Denaro si incontrassero.

È vero che si faceva riferimento ad una “chiave”, ma nulla di segreto c’era: parlavano della chiave per aprire la cappella del cimitero di Castelvetrano e deporre i fiori nella tomba dei defunti della famiglia Messina Denaro.

La difesa ha sostenuto che in uno degli ultimi messaggi che i due si sono scambiati ci sarebbe la prova che Laura Bonafede e il capomafia non si incontravano da tempo tanto che Messina Denaro si preoccupava del fatto che la donna addirittura potesse non riconoscerlo. Tutto questo, secondo la difesa, picconerebbe la ricostruzione del suo ruolo mafioso.

Di avviso opposto il gup, davanti al quale è solo caduta l’aggravante del riciclaggio di di denaro di provenienza illecita. La condanna è già scontata di un terzo come previsto dal rito abbreviato. Una donna di mafia e non solo l’amante del boss come ha ammesso nel corso delle dichiarazioni spontanee.

Bonafede dovrà risarcire le parti civili: 25 mila euro ciascuno ai Comuni di Castelvetrano e Campobello di Mazara. Diecimila euro alla Regione siciliana e al ministero dell’Istruzione. Tremila euro al Centro studi Pio La Torre e alle associazioni Antonino Caponnetto, Antiracket e antiusura Trapani e Codici.


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