Province, tutti gli articoli | a “rischio-impugnativa” - Live Sicilia

Province, tutti gli articoli | a “rischio-impugnativa”

In queste ore Carmelo Aronica sta verificando la legittimità costituzionale della riforma. E i dubbi non mancano. Messi nero su bianco da politici e giuristi che hanno inviato ricorsi e memoriali al Prefetto. Ecco i punti deboli del disegno di legge che dovrebbe portare ai liberi consorzi.

 

Al vaglio del Commissario dello Stato
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PALERMO – Il governo ha già brindato. Il presidente della Regione ha già rivendicato, giustamente, il primato della Sicilia nell’abolizione delle Province. Il presidente della prima commissione Antonello Cracolici ha bollato come “nemici della contentezza” tutti coloro che hanno sollevato qualche dubbio sull’impianto della norma. Ma prima di brindare, forse, contentezza o meno, soprattutto sulla scorta delle recentisisme esperienze, sarebbe il caso di attendere qualche giorno. La metà di questa settimana, magari, quando il Commissario dello Stato si pronuncerà sulla norma che sancisce il passaggio dal vecchio ente ai liberi consorzi e alle città metropolitane.

Già, perché nel frattempo molti dei dubbi sollevati a Sala d’Ercole, insieme a tanti altri, si sono trasformati in atti formali. Inviati in qualche caso, direttamente a Carmelo Aronica. Una “memoria”, presentata dai deputati di Forza Italia e anche veri e propri ricorsi, avanzati ad esempio da un avvocato messinese per conto di un gruppo di ex consiglieri provinciali e privati cittadini e da uno studioso di diritto della Kore di Enna. Tutti concordi nel dire: “La legge è incostituzionale sotto diversi punti di vista”. Ma quali sono i nodi da sciogliere? Le incongruenze che potrebbero essere censurate dal Commissario dello Stato?

I liberi Consorzi? Esistevano già…
I problemini inizierebbero fin da subito. Fin dal primo articolo, dal primo comma, quello che istituisce i “Liberi consorzi”. Secondo lo studioso di diritto dell’Università Kore di Enna, Massimo Greco, infatti, i liberi consorzi esisterebbero già. La legge 9 del 1986, quella che ha istituito le Province, infatti, attribuisce la denominazione di “province regionali” a quelli che sono già “Liberi consorzi di Comuni”. “Più saggio – scrive Greco – sarebbe stato disciplinare non la istituzione ex novo dei liberi consorzi comunali ma le modalità di costituzione di nuovi consorzi di comuni”. Una tesi condivisa anche dall’avvocato messinese Antonio Catalioto, che ha avanzato un ricorso simile al Commissario dello Stato, nell’interesse di ex consiglieri provinciali e privati cittadini.

Ma i problemi sarebbero anche al comma successivo, il due, che recita: “Ciascuno dei nove liberi Consorzi è composto dai comuni appartenenti alla corrispondente provincia regionale”. Una norma che si scontrerebbe, secondo il capogruppo di Forza Italia Marco Falcone, con l’articolo 7 della stessa riforma, quella che prevede l’istituzione delle “aree metropolitane”. Aree più ampie di quelle inizialmente indicate come “città metropolitane” e limitate ai capoluoghi di Palermo, Catania e Messina. Insomma, la norma finirebbe per ledere il principio di ragionevolezza visto che, così com’è scritta, porterebbe alla conseguenza paradossale che alcuni Comuni possano appartenenere sia a un Libero consorzio che a una città metropolitana.

Le risorse finanziarie dei Consorzi
Altro scoglio, al comma 7 dello stesso primo articolo. Dove si accenna ai “mezzi di sostentamento” dei Liberi consorzi che, stando alla norma, “continuano ad utilizzare le risorse finanziarie, materiali e umane già di spettanza delle corrispondenti Province regionali”. “Un passaggio – spiega Falcone – assai oscuro. Le vecchie Province, infatti, oltre a utilizzare risorse finanziarie proprie, ne utilizzavano anche altre di origine regionale o statale. Il legislatore regionale non può intervenire su materie che sono di competenza statale”. “Le funzioni amministrative di tipo impositivo – spiega anche Greco – non possono essere esercitate da un ente sprovvisto dello status di ente territoriale di governo”. E un ente territoriale deve prevedere, secondo molti “addetti ai lavori” elezioni dirette, che, come è noto, non sono previste per i Consorzi. Un fatto che toglierebbe, appunto, ai consorzi la capacità di imporre propri tributi: “Risulteranno pertanto sprovvisti di adeguata copertura legislativa – prosegue Greco – le funzioni amministrative riferite ai tutti i tributi ancora oggi accertati e riscossi dalle province regionali: l’addizionale all’accisa sull’energia elettrica; il tributo per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene ambientale, l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile dei veicoli; la compartecipazione al tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti; l’imposta provinciale di trascrizione; il tributo per il controllo degli impianti di riscaldamento termico; la Tosap”.

La norma poi finirebbe per violare l’articolo 81 della costituzione, che prevede l’obbligo della copertura finanziaria. Stesso discorso per le risorse a disposizione delle città metropolitane: “La norma – aggiunge Falcone – non prevede una previsione di spesa. Non si può dire che si usano solo le risorse delle Province. Lo stato infatti prevede dei trasferimenti indirizzati appunto a un ente che si chiama ‘Provincia’ e non a un Libero consorzio, per il quale servirà una nuova norma di coordinamento con lo Stato”.

Le città metropolitane non esistono nello Statuto
Ma i dubbi sulle città metropolitane vanno al di là delle sole risorse finanziarie, e investono invece la creazione stessa dell’ente. Un ente previsto dalla Costituzione all’articolo 114. Ma quell’articolo, per le Ragioni a Statuto speciale, viene “derogato” dall’articolo 116. Quelle Regioni, si legge, infatti, “dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”.

Secondo l’opposizione, quindi, è allo Statuto speciale siciliano che bisogna guardare per l’organizzazione degli enti territoriali. Lì, la “città metropolitana” non è menzionata. “Tra l’altro – aggiungono i deputati di Forza Italia – nella riforma di Delrio, le città metropolitane coincidono con l’intera provincia di appartenenza”. Un dubbio riguardante la stessa materia, anche se di natura diversa, è sollevato dal deputato della Lista Musumeci, Gino Ioppolo: “Secondo molti costituzionalisti – spiega – l’articolo 15 dello Statuto speciale non è più vigente. A quello, infatti, si è sostituita la legge 3 del 2000, quella che conosciamo come ‘riforma del Titolo V della Costituzione’. Una norma costituzionale, che arriva anni dopo lo Statuto. E nella quale non si fa alcun cenno ai Liberi consorzi”.

I liberi consorzi non sono liberi affatto…
Le altre ombre riguarderebbero ancora le modalità di adesione e distacco dalle aree metropolitane e dai Consorzi. La norma infatti impone la “continuità territoriale” come precondizione per qualsiasi spostamento in entrata o in uscita dei Comuni. Questo principio, finirebbe per ledere principi di libertà e uguaglianza costituzionalmente garantiti. Per intenderci, se la libertà di uscire o aderire a un’area metropolitana è concessa a un Comune contiguo all’ente al quale vuole aderire, lo stesso non è consentito a Comuni che si trovano “circondati” da altri Comuni. Bloccati quindi. Una incongruenza evidenziata anche da Ioppolo: “Viene violata la libera determinazione dei territori”.

E un problema “simile” è legato al libero consorzio di Enna. La legge infatti impone il limite minimo di 150 mila abitanti per il mantenimento in vita dell’ente. Insomma, se il Comune, lasciando il Consorzio, finisse per far scendere la popolazione di quel Consorzio al di sotto dei 150 mila abitanti, sarebbe costretto a “restare al suo posto”. Il caso è “pratico”, non certo “di scuola”. Il Consorzio di Enna è composto da circa 171 mila abitanti. Al Comune di Piazza Armerina, ad esempio, (oltre 22 mila abitanti) sarebbe impedita la “libera fuoriuscita” dal consorzio. Tutti questi dubbi verranno formalizzati al Commissario dello Stato nelle prossime ore: “Presenteremo – annuncia Falcone – ad Aronica le nostre memorie, per far notare la violazione dei principi di ragionevolezza, pari trattamento giuridico tra gli enti, e per dimostrare la reiterata violazione, nel testo della norma, degli articoli 81 e 116 della Costituzione”.

Illegittima la “gratuità delle cariche”? E chi paga le missioni?
E dubbi di costituzionalità starebbero alla base persino di una delle norme più “caratterizzanti” una riforma nata anche come strumento di spending review: la gratuità delle cariche dei componenti dei Consorzi prevista all’articolo 3. “Il totale azzeramento di ogni forma di remunerazione – scrive Greco – rasenta la violazione dell’art. 51 della Costituzione secondo cui “chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento…”. Non avrebbe copertura finanziaria, invece, la norma, prevista allo stesso articolo, secondo la quale le spese per le missioni sono poste a carico dei Comuni.

Il conflitto d’interesse dei sindaci.
“Il Consorzio – spiega l’avvocato Catalioto – è un ente territoriale a tutti gli effetti: visto che ha competenze, funzioni e organi”. Da qui, ecco l’evidente conflitto d’interesse a carico dei sindaci che compongono il libero consorzio: “Facciamo solo un esempio – spiega Catalioto – visto che i Consorzi dovranno occuparsi anche di rifiuti, nel caso in cui emergesse un contenzioso tra un Comune e il Consorzio, l’incompatibilità sarebbe evidente”. Senza contare che la Corte costituzionale, ha già sottolineato come l’attribuzione di doppie cariche finisca per incidere sul buona andamento dell’ente amministrato. Sulle incompatibilità, l’Ars dovrebbe intervenire con una legge autonoma. Incardinata all’Ars, ma ancora ferma. Quando ripartirà, potrebbe essere troppo tardi. L’impugnativa, se mai ci sarà, del Commissario dello Stato è attesa tra mercoledì e giovedì. A quel punto si saprà qualcosa sulla reale portata dell’epocale riforma delle Province.


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