Pubbliservizi, scandalo corruzione |Così il Gip bacchetta la politica - Live Sicilia

Pubbliservizi, scandalo corruzione |Così il Gip bacchetta la politica

Il circo delle nomine, le consulenze, gli appalti e la corruzione. La regia della politica nelle parole della Gip Francesca Cercone.

 

LE CARTE DELL'INCHIESTA
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CATANIA – “I vertici politici dovranno rispondere alla cittadinanza che rappresentano”. La Gip del tribunale di Catania Francesca Cercone bacchetta la politica, lo fa duramente nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’arresto di Adolfo Messina, ex firrarelliano e lombardiano oggi molto vicino a Rosario Crocetta, nominato ai vertici della Pubbliservizi, il colosso provinciale degli appalti. Una nomina fortemente voluta dai vertici del fu Megafono sulla quale la Gip ha le idee chiare e, dopo aver elencato prebende, dazioni di denaro e regalie, tira le somme: lo fa sul piano giuridico e sociologico. La Cercone mette il dito nella piaga, in una terra in cui diritti e doveri sono costantemente messi in crisi da un sistema di spartizione di incarichi e appalti, un sistema in cui chi gestisce la politica alimenta il proprio apparato e lo fa quasi sempre su base clientelare.

L’INCARICO – “Deve sottolinearsi – scrive la giudice – come la preposizione a ruoli e funzioni quali quelli in disamina non è conseguente a procedure concorsuali: essa, invero, è frutto di scelte ampiamente discrezionali soventemente legate a dinamiche politiche e, comunque, sempre espressione del rapporto fiduciario intercorrente con il vertice politico della Pubblica amministrazione, di cui l’ente partecipato, costituendone promanazione, viene per ciò solo chiamato a realizzare gli obiettivi del cui conseguimento, poi, detti vertici dovranno rispondere alla cittadinanza che rappresentano”.

Nessun concorso, ma una nomina effettuata da un commissario gradito a chi governa la Regione. Tutto si riduce, quindi a una partita a tavolino, tra pochi signori che gestiscono la cosa pubblica. Sullo sfondo la fallita riforma delle Province e l’aumento del controllo, attraverso i commissariamenti, degli Enti in questione.

IL PARTITO – Perché Messina, che non è più presidente della Pubbliservizi, è finito in galera? Il giudice motiva la necessità della custodia cautelare in carcere col fatto che “lo stesso risulta presidente del movimento politico Io c’entro, tra i cui partecipi vengono altresì indicati Trombetta e Pedi (soggetti coinvolti nell’operazione della magistratura ndr),…non apparendo in alcun modo reciso il collegamento dello stesso con l’ambiente che, soventemente, costituisce il bacino da cui vengono attinti i nominativi di soggetti chiamati a ricoprire incarichi e funzioni”.

IL SISTEMA – La giudice punta l’attenzione sul fatto che Messina “nell’immediatezza della sua investitura in Pubbliservizi, riusciva ad imprimere alla società l’assetto necessario per addivenire alla realizzazione dei propri progetti con ciò dimostrando, oltre, che la spregiudicata strumentalizzazione della carica, l’indubbia capacità, certamente non improvvisabile, di determinare taluni funzionari, evidentemente sensibili ai vantaggi conseguenti a eventuali progressioni in carriera, a operare seguendo un percorso condizionato non già dall’attenta e imparziale comparazione degli interessi da considerare, ma dalla percezione di indebiti compensi nonché il fatto di poter fare affidamento su soggetti fedeli per ciò solo disposti ad assecondarlo nelle strategie elaborate”.

LA REITERAZIONE – Il tribunale ritiene Adolfo Messina “soggetto dedito all’agire antigiuridico che ben sarebbe in grado di reiterare, per tutte le argomentazioni sopra rassegnate, modalità comportamentali del tutto corrispondenti a quelle in disamina”.

Il carcere, dunque, sarebbe “l’unica misura idonea” ma, al di là delle manette, la responsabilità è ben più in alto di Messina, per esempio, di chi lo ha nominato, beffandosi delle migliaia di giovani costretti a scappare da questa terra perché non accettano di dire di sì alle regole degli apparati.

 


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