Ecco una foto del cimitero dei Rotoli scattata oggi, a Palermo, lì dove l’orrore confina con la pietà e con l’incantevole mare per niente rassegnato, in sole e bagnanti, alla fine dell’estate. Ecco la perenne foto del cimitero dei Rotoli, in qualunque giorno, in un qualunque angolo, negli ultimi anni. E ci sarebbe da sfidare gli amministratori pro tempore – il sindaco e la giunta – a trovare le differenze. Perché, a occhio, una differenza non c’è. “Quella del cimitero è una storia infinita”, ha detto il sindaco Roberto Lagalla, chiacchierando con l’Ansa che riporta una citazione colta: il paradosso di Zenone, “Achille e la tartaruga”, con l’eroe omerico che non riesce a raggiungere quel paradigma di lentezza. “Abbiamo cercato di fare Achille, cominciando a collocare i nuovi loculi ma all’azienda cimitero i clienti non mancano – ha chiosato il sindaco –. Abbiamo bisogno di un periodo congruo per potere affermare di avere risolto il problema. Non ci vorrà meno di un anno per eliminare il problema delle bare in giacenza”.
Apprezzata la cultura filosofica, un po’ meno la battuta sui ‘clienti’, per come è stata riportata (i clienti scelgono se entrare in un bar oppure no, i morti, purtroppo, non possono scegliere di evitare la morte), inviteremmo il sindaco a farsi un giro d’ispezione, a varcare il cancello, provvisto di una mascherina, non anti-Covid, ma anti-fetore. Così si renderebbe conto, personalmente, della situazione e vedrebbe quello che abbiamo visto noi, in una mattina di ottobre. E, sebbene con la mascherina, sarebbe comunque investito dalla zaffata che arriva dal tendone bianco sotto cui giacciono corpi a cui viene negata la dignità.
E’ quello che abbiamo visto, con molto dolore e altrettanta rabbia. Parenti di defunti che, con una mano, si asciugano le lacrime, mentre, con l’altra, premono un fazzoletto sulla bocca. Abbiamo visto bare in quantità, ancora accatastate, con i loro resti umani e disposti su più file. Abbiamo visto un secchio poggiato sopra un feretro, come in un grande magazzino della sconcezza. Abbiamo visto i depositi traboccare.
Abbiamo visto foto posticce, attaccate alla meno peggio, cotte dal sole e annerite dall’enorme tempo di permanenza. Visi seri, come accade sovente nelle immagini funebri, resi più scavati, nell’immaginazione, dall’offesa subita. Dalla violenza di una pietà costretta a misurarsi con l’indecenza, nell’indifferenza del contesto. Perché Palermo polemizza pure sulle sfumature, ma ha voltato le spalle al suo cimitero.
Abbiamo visto cortei di condolenti costretti ad arretrare davanti all’avanzata della puzza. Abbiamo visto persone anziane piangere per lo sdegno, mentre cercavano di deporre un fiore. In quel dialogo con l’Ansa il sindaco ricorda che non ci sono risorse. In una lettera scritta per LiveSicilia.it si rammaricava: “L’indignazione mi accompagna tutti giorni. Dopo gli ultimi anni di annunci, durante i quali le bare in deposito, invece di diminuire, sono sempre aumentate, adesso è il momento di agire”. Eravamo a luglio, forse si deve agire di più e meglio. Come? Mobilitando il governo nazionale e quello regionale, quando avranno la compiacenza di nascere, ma già chiamando in causa tutta la politica e facendo in modo che il triste caso del cimitero dei Rotoli di Palermo sia una vertenza inemendabile.
Altrimenti dovremmo concludere che i morti sono doppiamente sfortunati. Non solo muoiono, ma non votano. Dunque, non rappresentano una preda ambita delle campagne elettorali. Sono, invece, i morti di Palermo, la spina dei vivi che li vanno a trovare e quasi svengono per l’indicibile orrore. (Roberto Puglisi)