CATANIA – In molti se ne ricordano ancora. Il 4 e 5 novembre 1994 Giovanni Paolo II, che da oggi verrà innalzato agli onori degli altari, venne in visita pastorale a Catania. La prima di un Papa – almeno nel secondo millennio – nella patria di Agata. Un successo, allora, sotto il profilo mediatico e organizzativo. Wojtyla se ne andò via però con un desiderio irrealizzato: salire sull’Etna. Magari per un’escursione. Il programma non lo permetteva. “L’atleta di Dio” – così l’ha definito la stampa mondiale – tentò lo stesso il fuoriprogramma. Rivela questa intenzione monsignor Gaetano Zito, preside dello Studio Teologico San Paolo e responsabile allora della visita del pontefice. Un racconto carico di colore: “Eravamo a pranzo in Arcivescovado. Tra i commensali porporati, vescovi e i principali collaboratori. A capo tavola c’era ovviamente il Santo Padre. Alla sua destra il cardinale Salvatore Pappalardo, mentre a sinistra c’era l’arcivescovo Luigi Bommarito. Restai in piedi vicino a quest’ultimo per qualsiasi evenienza. Ad un certo punto il cardinale Castillo Lara, salesiano, chiese al nostro arcivescovo dell’Etna, delle sue eruzioni. Bommarito, da gran comunicatore che è sempre stato, cominciò un racconto emozionante e pieno di particolari”.
“Ad un certo punto – continua Zito – il Papa incuriosito alzò la testa e con la sua voce grave chiese: ‘Ma non si potrebbe andare sull’Etna?’. Bommarito mi cercò con lo sguardo. Risposi: ‘Santità, tecnicamente è possibile, però bisogna verificare i tempi della visita, le condizioni atmosferiche, etc’. Rispose lui: ‘Ah, bene!’. Bommarito riprese quindi il discorso, continuando a parlare del Vulcano. Ogni tanto interveniva pure Pappalardo, raccontando dei suoi trascorsi a Zafferana. Ma il Papa insistette: ‘E allora, non si potrebbe andare sull’Etna?’. Un severo monsignor Stanislao, segretario del papa, mi guardò per frenare ogni iniziativa. Ho dovuto quindi spiegare che il cielo era coperto e che, anche ad andare, non sarebbe stato possibile godere della vista che si desiderava. E allora lui: ‘Ah, bene, allora rimandiamo tutto ad una prossima volta’. Occasione che però – chiosa Zito – non c’è più stata”.
È tuttavia un altro l’episodio che ha folgorato Zito e attiene tutto alla santità dell’uomo: “Dopo il pranzo, il Papa volle passare dalla Cattedrale. Lo abbiamo accompagnato. È stato esposto il santissimo sacramento e portato il busto reliquiario di sant’Agata più o meno a metà della navata, questo per non fargliela attraversare tutta, considerato che era claudicante. Si è inginocchiato per pregare. E ha pregato tutto il tempo che ha deciso di pregare. C’è stato un momento in cui monsignor Monduzzi, il prefetto della Casa pontificia, mi ha guardato. Gli ho fatto capire che si stava facendo tardi. Così monsignor Stanislao è andato timidamente dal Papa. Il quale però non si è minimamente scomposto. Ha continuato la sua preghiera imperterrito. Quando ha ritenuto di aver finito, si è alzato. È una immagine – riferisce Zito – che ho viva nella memoria. Lui aveva un suo dialogo con Dio, indipendentemente da ciò che gli accadeva attorno. Viveva ciò che faceva con questo sicuro punto di riferimento. Insomma, portava a Dio ciò che aveva fatto e da lui ripartiva”.
Le sofferenze fisiche di Giovani Paolo II, tratto fondamentale degli ultimi anni del suo pontificato, tuttavia, s’incrociano con la storia catanese. Una prima visita del Papa, infatti, a poche ore dal suo arrivo, era stata annullata per un infortunio fisico. Una delusione per tanti, soprattutto per i giovani reclusi di Bicocca. Racconta Zito: “Gli uomini della Gendarmeria vaticana erano già qui, comandati da Cibin, una figura straordinaria. Lo accompagnai al carcere minorile per un sopralluogo. Per motivi di sicurezza, avevamo dovuto lasciare i cellulari nella direzione. Mentre eravamo lì dentro, arrivò in Arcivescovado la notizia che il Papa non sarebbe più arrivato. Bommarito, successivamente, mi raccontò che all’inizio furono increduli. Si pensò addirittura allo scherzo di un mitomane. Tanto che si chiamò nuovamente a Roma per verificare la cosa. Il futuro cardinale Re confermò nuovamente”.
“Tornando a noi – prosegue Zito – usciti dal carcere accendemmo il cellulare. Trovai tante chiamate dalla Curia. Allora mi riferirono il tutto. Bommarito m’intimo: ‘Rientrate, ma non fate capire nulla’. Salutammo il direttore come se non fosse successo alcunché e andammo via. Quindi, Cibin dovette scappare a Roma per organizzare il servizio di sicurezza al Gemelli. Fu un momento strano. È come se avessimo lanciato una macchina in corsa, spegnendola però all’improvviso. Una grande delusione. Anche perché la prima visita sarebbe dovuta durare più a lungo rispetto alla successiva”.
Tuttavia la visita dell’ormai santo Giovanni Paolo II è già nella storia: “È stato un momento molto forte per la città. Si è dimostrato – spiega Zito – che quando si riescono a mettere in sinergia le forze di questo territorio, si ottengono grandi risultati. Quella visita è stata grandiosa. In Vaticano se ne ricordano ancora. Un successo. Certo, ci siamo arrivati per il rotto della cuffia, è vero, ma non ci sono state sbavature”.
Scolpite restano anche le parole del pontefice. “Alcune fra quelle da lui pronunciate – dice Zito – sono delle vere e proprie pietre miliari: ‘Catania, alzati e rivestiti di luce’ come anche tutto il discorso ai giovani allo stadio. L’unico rammarico – aggiunge – è che all’indomani non abbiamo saputo capitalizzare quella visita e quelle parole. Parlo come città e non solo come Chiesa. Non siamo stati capaci di ripartire da quell’evento per delle scelte operative coraggiose e concrete. Il dopo non può essere soltanto una lapide a piazza Duomo, o un bel volume con fotografie e discorsi”.
Da escludere, tuttavia, una prossima visita di un pontefice sul territorio etneo: “Non credo che ci sarà, almeno nel breve periodo. Mi chiedo pure se sia opportuna. I viaggi di Francesco in Italia sono tutti mirati. I prossimi a Cassano allo Ionio e a Campobasso rappresentano qualcosa. Così come quello a Lampedusa. Piuttosto che a Catania, il Papa va dove c’è realmente più bisogno di lui. O almeno, dove all’indomani si possano compiere scelte decisive. Altrimenti – conclude Zito – meglio non fare alcuna visita. D’altronde, fra televisione e facilità di viaggio a Roma è agevole vederlo, ascoltarlo, incontrarlo, recepire la testimonianza e vivere il messaggio che lancia”.