Quanto costa l'ignoranza? - Live Sicilia

Quanto costa l’ignoranza?

Le cifre della scuola siciliana sono terribili. E un patrimonio si perde nel silenzio generale.

La Sicilia detiene un record negativo: è prima nella classifica nazionale per la dispersione scolastica: un ragazzo siciliano su quattro lascia la scuola. Sembra, dunque, che siamo i più ignoranti d’ Italia. Altro che passata gloria di raffinata cultura, di civiltà millenaria! Molte le domande da porsi. L’ignoranza è un business? E perché, invece, considerato il patrimonio artistico dell’Isola e il suo retaggio storico, non è diventata la cultura, il business? È proprio vero che più siamo ignoranti e più siamo funzionali al sistema? E a chi servono i siciliani ignoranti? Esiste ancora una “questione meridionale” anche per la scuola?

Deve essere così, considerato che il resto del Meridione non sta molto meglio: la Campania è l’ultima regione italiana per offerta educativa. Ma la Sicilia, riguardo all’abbandono della scuola, si tiene stretto il suo disperato primato e rimane ai vertici dell’intera Europa. Alcuni istituti raggiungono livelli preoccupanti: nel 2011-2012 l’IPSIA Salvo D’Acquisto di Bagheria ha sfiorato il 49%, seguito dall’alberghiero Borsellino di Palermo (40%). Il meccanismo  è chiaro: gli studenti più deboli delle scuole medie si iscrivono ai professionali e in queste scuole la dispersione cresce a dismisura. Sono 34mila i giovani siciliani che ogni anno interrompono gli studi o vanno incontro a una bocciatura, anticamera dell’abbandono, oltre 9mila nella sola provincia di Palermo. Se gli istituti professionali versano nelle situazioni più gravi, anche le scuole elementari e medie, ubicate in quartieri dove sono presenti degrado, disoccupazione e povertà, offrono dati desolanti. Perché, come è comprensibile, il fenomeno riguarda principalmente gli studenti provenienti dai contesti sociali, economici, culturali e familiari più svantaggiati.

Un giovane esercito di “drop out”. Sono, rispetto al numero di studenti registrati all’anagrafe scolastica nazionale, i giovani che “cadono fuori” dalla scuola. Uno su 100 già tra i bambini che ogni anno iniziano la scuola primaria. Cinque su 100 si fermano alla licenza elementare; 32 lasciano dopo le medie, 17 non finiscono le superiori e altrettanti non arrivano alla laurea. L’Italia, con il 17,6% di ragazzi che abbandonano gli studi, è in fondo alla classifica europea, la cui media è pari al 14,1%.

Il malessere della sconoscenza, per parafrasare in negativo il titolo di un capitolo del recente libro di Giovanni Solimine, Senza Sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia (Laterza 2014), costa caro al Paese non solo in termini sociali. Un recente studio ha quantificato in 70 miliardi l’anno l’onere economico di questa piaga sociale. I dati sono forniti dal Ministero dell’Istruzione, che, per cercare di invertire la tendenza e scendere sotto il 10% di “school leavers” previsto da Europa 2020, ha stanziato 100 milioni, da distribuirsi fra le Regioni, tenuto conto sia del numero di studenti che degli abbandoni. Gli istituti comprensivi e le scuole secondarie di secondo grado, per accedere alle risorse, dovranno redigere un progetto basato su iniziative di prevenzione del disagio “causa di abbandoni scolastici precoci”, con particolare riferimento ai programmi di integrazione degli alunni di cittadinanza non italiana. Alla Sicilia è destinato un milione e mezzo di euro.

Il 12 maggio scorso l’ANSA ha diffuso una nota che denuncia la cosiddetta “altra” povertà, quella che priva i bambini non solo di studiare, ma di giocare, di confrontarsi, di accedere a ogni manifestazione artistica o culturale che ne potenzierebbe l’apprendimento, quella che, insomma, rende loro dura la vita nell’immediato e produce devastazioni sulla loro formazione, negando loro la speranza di un futuro migliore. L’organizzazione “Save the Children” l’ha definita “povertà educativa”. Un dramma italiano, indagato mediante i dati dell’abbandono scolastico, della carenza di strutture e di offerta culturale: dal rapporto “La lampada di Aladino” si evince che nessuna regione italiana è in linea con alcuni obiettivi europei quali, ad esempio, la copertura degli asili nido, che dovrebbe essere del 33% (nella fascia di età 0-2 anni), e che, invece, arriva a stento al 26,5% (e soltanto in Emilia). La dispersione scolastica, che, come si è detto, conta numeri altissimi in Sicilia e in Campania (25,8 e 22 %), anche in Valle d’Aosta tocca il 19%. Ma stavolta il mal comune non produce alcun gaudio.

Più di un milione di ragazzini italiani vive in condizioni di povertà assoluta, e altri 3 milioni e mezzo sono a rischio di esclusione. Chi nasce povero, spesso è condannato a rimanere tale, perché l’assenza di strumenti che non sono un lusso, ma una necessità, come il pasto a scuola, o la possibilità di giocare all’aria aperta in luoghi sicuri, non consente di uscire dalla spirale della miseria. La povertà educativa non si misura solo a scuola, ma anche nel tempo libero: nel nostro Paese meno della metà di bambini e adolescenti fa sport in modo continuativo, e al Sud meno di un terzo. I libri sono ancora patrimonio di pochi: in media appena la metà ha letto almeno un libro, a parte quelli di scuola: solo il 34% in Sicilia. L’Indice di Povertà Educativa (IPE) si calcola combinando fattori scolastici e elementi di contesto: da un lato la penuria di asili nido, la scarsa incidenza del tempo pieno alle elementari e alle medie, l’alto tasso di dispersione scolastica; dall’altro una serie di opportunità mancate nel tempo libero: niente libri, niente visite a musei e biblioteche, ingressi a teatri e mostre. Nessuna sorpresa che le regioni più povere, quelle meridionali, siano anche quelle a maggiore povertà educativa: i dati negativi riguardano anche il tempo pieno, il servizio mensa, le aule connesse a Internet e lo sport.

Durante il terzo convegno nazionale “A scuola nessuno è straniero”, che ha avuto luogo a Palermo qualche mese addietro, il Presidente del Senato Piero Grasso ha dichiarato che un bambino che lascia la scuola è un cittadino perso: la Sicilia ha superato i livelli di guardia se si considera che un alunno su cinque abbandona le elementari e alle superiori il fenomeno raggiunge il 50 per cento, e che questi valori sono superiori a quelli di tutte le altre regioni italiane ed europee. Tra i possibili rimedi, Grasso suggeriva di combattere il fenomeno dei bambini lavoratori, che spesso prelude all’attività criminale. Nel sottolineare la funzione di integrazione svolta dalla scuola, che cerca di far fronte all’impatto migratorio per garantire il diritto all’istruzione in modo diffuso, ha sottolineato come i docenti siano sottopagati, nonostante svolgano un ruolo sempre più importante, in quanto, al di là del mero nozionismo, sono chiamati a formare i giovani, quale che sia la loro provenienza, per trasmettere loro i valori legati alla democrazia che contraddistinguono il nostro Paese. La scuola dunque è un baluardo istituzionale per far fronte alla mutata domanda di educazione; con le carenze che tutti conosciamo, resta il luogo di confronto nel quale maturano i processi di integrazione e socializzazione, atti a prevenire la ghettizzazione. Andrebbe, ovviamente potenziata.

Di contro, i dati di realtà. I “colpi di mannaia” sferrati al Sud, secondo l’ANSA, sul corpo insegnante per le materie curricolari, provocheranno, nel prossimo anno scolastico, la perdita in Sicilia di 504 cattedre, per aggravare la già registrata diminuzione, negli anni scorsi, dei docenti di ruolo (fino al 2012 del 18%). Ma c’è di più. L’Isola consegue un altro primato negativo: sono state eliminate 1394 cattedre di sostegno, secondo quello che “Orizzonte Scuola” ha definito un “taglio epocale” in Sicilia, operato in base a un mero calcolo matematico. Le tabelle ufficiali, pubblicate in aprile, “riequilibrano” il rapporto tra organico di diritto e di fatto e di conseguenza anche il rapporto tra docenti ed alunni; lo spostamento non tiene conto della situazione della Sicilia che, insieme alla Campania, ha la maggiore presenza di alunni disabili gravi, né del personale precario presente nelle graduatoria ad esaurimento. Insomma, per aggiungere beffa al danno, molti docenti resteranno disoccupati o, more solito, dovranno spostarsi in Lombardia o in altre regioni del Nord carenti di insegnanti di sostegno per le immissioni in ruolo. Questo mentre in alcune scuole siciliane si toccano quote di dispersione da terzo mondo.

Come affrontare quest’emergenza educativa? Si potrebbe puntare anzitutto al completamento dell’Anagrafe Scolastica redatta dal Miur, monitorando in modo continuo le assenze, gli abbandoni e i trasferimenti di tutti i ragazzi in età dell’obbligo; raccogliere in modo sistematico i dati relativi al reddito e al lavoro dei genitori per sostenere le famiglie più svantaggiate; fare investimenti mirati nelle aree depresse; estendere la diffusione dei nidi; garantire il tempo pieno e la mensa a tutti, tenendo presente che, oltre a costituire un sostegno alla lotta contro la miseria, la mensa scolastica è soprattutto un forte fattore di socializzazione e di integrazione; aprire anche nei pomeriggi le scuole a rischio. Provare, finalmente, a far cooperare, come auspica il già citato Solimine, i diversi attori che operano nel campo della diffusione della conoscenza (sistema scolastico, biblioteche, editoria, canali educativi della Rai) che, uniti nella tensione all’obiettivo comune, fondino finalmente una “fabbrica della conoscenza”.

In Sicilia, col continuo richiamarci all’arricchimento culturale prodotto dal succedersi di dominazioni (dal fertile intreccio delle quali avremmo assorbito il meglio per generare un mix esplosivo di sapere e creatività) e a una mitologia di primati isolani veri e presunti, se non poniamo correttivi all’attuale stato di prostrazione rischiamo di essere “solo chiacchiere e distintivo”; e per rimandare alle efficaci immagini del memorabile film, la scena della carrozzella che con un sordo ticchettío scandisce, uno per uno, i gradini della scalinata che porta dal plateau ai binari della Union Station di Chicago (che Brian De Palma mutuò a sua volta, per rendergli omaggio, dal genio di Ejzenštejn), rischia di essere una efficace metafora del destino a cui condanniamo le nuove generazioni.

 

 

 


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