Man mano che passano le ore, osservandolo e ascoltando le sue prime parole, pronunciate dal Loggione della Basilica di San Pietro e poi nell’omelia nella Cappella Sistina dinanzi ai cardinali, il nuovo Pontefice, Leone XIV, sollecita la nostra simpatia. Si mostra mite e umile.
Chi lo conosce lo definisce un uomo dell’ascolto e aperto al confronto. Commentatori e opinionisti in questi giorni cercano di classificarlo come progressista o conservatore, soprattutto nelle materie dottrinali, di collocarlo tra gli amici o i critici di Donald Trump, essendo il primo Papa statunitense della storia. Tuttavia, a nostro parere due aspetti meritano intanto una riflessione preliminare per comprendere la sua figura.
Il primo: è un frate (dell’Ordine di Sant’Agostino d’Ippona), un dettaglio non da poco. I religiosi, in particolare i monaci, coltivano una vita interiore improntata alla preghiera, alla comunione e all’impegno apostolico e missionario adattandosi alle esigenze della Chiesa e della società in ogni contesto. Il carisma agostiniano promuove l’unità nella diversità, la carità e la conoscenza puntando su evangelizzazione, dialogo e costruzione di ponti.
Robert Francis Prevost appena eletto ha richiamato tali valori e principi nel suo emozionato saluto al popolo radunato in piazza invocando, con forza e ripetutamente, la pace sulla Terra e nei cuori in un mondo segnato da guerre, sofferenze, ingiustizie e discriminazioni.
Il secondo: la scelta del nome, un evidente omaggio a Leone XIII, come Prevost stesso ha rivelato ad alcuni cardinali la sera dell’elezione. Leone XIII, regnante dal 1878 al 1903, è celebre per l’enciclica Rerum Novarum (1891), fondamentale per la dottrina sociale della Chiesa in un’epoca di rivoluzione industriale e a pochi decenni dalla fine del secolare potere temporale dei Papi.
Quel documento affrontò con coraggio le questioni del lavoro, del capitalismo e del socialismo, sottolineando i diritti dei lavoratori e un equilibrio tra proprietà privata e giustizia sociale. Pur necessitando ovviamente di un’attualizzazione e revisione, quel testo potrebbe ispirare Leone XIV soprattutto sul tema del lavoro.
In qualità di Vescovo di Roma, chiamato a presiedere nella carità la Chiesa universale, il nuovo Papa sembra intenzionato a essere un uomo di preghiera e un pastore amorevole più che un “politico”. Tuttavia, ciò non ci faccia credere che non cercherà di influenzare i potenti e i potentati, politici ed economici, nel perseguire la pace, una maggiore equità sociale e l’accoglienza di coloro a cui sono negati i diritti fondamentali.
Richiamando la Rerum Novarum appare attento alle sfide della rivoluzione digitale, in particolare dell’intelligenza artificiale, che rischia di minacciare il lavoro e la sua dignità, elementi essenziali per la crescita della persona e della comunità.
Leone XIV affronta queste sfide consapevole dell’importanza di una Chiesa unita, collegiale e sinodale, pur sapendo che la decisione ultima spetta al Successore di Pietro, l’apostolo a cui Cristo ha affidato le Chiavi del Regno dei Cieli (Mt 16, 13-20). La sua lunga esperienza missionaria in Perù, utile per dare voce agli ultimi, si affianca al servizio reso nella Santa Sede come capo del delicatissimo dicastero per la nomina dei vescovi. Ciò gli consentirà di muoversi con competenza e una certa confidenza nella Curia romana dove è ancora necessario completare la faticosa azione riformatrice avviata da Papa Francesco.