Quel maledetto 2 febbraio 2007| Ecco come andarono le indagini - Live Sicilia

Quel maledetto 2 febbraio 2007| Ecco come andarono le indagini

Parla Angelo Busacca, uno dei pm che si occupò dell'inchiesta.

LA MORTE DI FILIPPO RACITI
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CATANIA – Dieci anni sono passati dalla sera degli orrori. Il 2 febbraio 2007 Catania al centro dell’attenzione mediatica nazionale per la guerriglia urbana che si era scatenata allo stadio Massimino dove era in corso il derby Catania Palermo. Una tragica sera dove morì l’ispettore del reparto mobile Filippo Raciti. Angelo Busacca, attualmente sostituto procuratore generale a Catania, è stato uno dei pm che coordinò le delicate indagini. L’inchiesta fu seguita in sinergia da Ignazio Fonzo e Andrea Bonomo, della Procura distrettuale, e Angelo Busacca e Silvia Vassallo della Procura dei Minorenni.

Angelo Busacca

Il magistrato ricorda quella notte. Quella tragica (e maledetta) notte. “Ricordo la chiamata di Gaspare La Rosa, l’allora capo dei Minorenni, che mi chiamò dicendo che negli scontri erano coinvolti molti minorenni e che c’era un poliziotto in fin di vita. Ci recammo all’ospedale e lì apprendemmo quello che era successo.”- racconta Busacca. “Ricordo le emozioni di quegli istanti, ma anche la grande confusione. Non si riusciva a capire come potesse essere esplosa questa rivolta contro la polizia”.  I medici del Garibaldi tentarono in tutti i modi di salvare l’ispettore, ma poi arrivò la notizia: Filippo Raciti era morto.

La chiave di volta per l’indagine sulla morte di Filippo Raciti fu l’esito dell’autopsia. “Il dottore Ragazzi ci disse che dovevamo andare a cercare un evento che non fosse coincidente con il malore di Raciti perché aveva l’addome con oltre un litro e mezzo di sangue all’interno” – racconta ancora il magistrato. L’esame autoptico di Giuseppe Ragazzi accertò che Raciti non era morto né per asfissia né per lesioni da scoppio, ma che in considerazione della quantità di sangue che aveva rinvenuto nell’addome e della piccola lesone riscontrata al fegato. Per il medico legale, dunque, l’evento lesivo non era collegabile al momento in cui Raciti accusò il malore vicino al veicolo Discovery a bordo del quale si trovava, ma ad un episodio che fosse avvenuto almeno un’ora prima.

A quel punto l’inchiesta subì un’accelerazione. Le indagini condotte dalla Squadra Mobile (all’epoca il dirigente era Giovanni Signer) e dalla Polizia Scientifica si mossero per analizzare tutti i filmati relativi agli scontri. “Ci fu la ricerca di tutti i video dove era ripreso Filippo Raciti” – ricorda ancora Busacca. E arrivò la scena che immortalava il poliziotto sospingere l’anta sinistra di un cancello della Curva Nord, il braccio destro sollevato e il fegato dunque scoperto, e dall’altra parte due tifosi (Antonino Speziale e Daniele Micale) che caricavano e spingevano il sottolavello in acciaio inox che era stato divelto dai bagni dello stadio Massimino. L’analisi frame dopo frame di quel filmato permise di notare un giovane robusto che indossava una felpa di colore scuro con il cappuccio con la scritta bianca “Champion”. Un particolare questo, molto importante per le indagini. “Quella felpa che poi lui indossa al contrario quando entra nei bagni”, spiega Busacca. “I ragazzi in quella circostanza coprirono con dei sacchetti ma ne dimenticarono una e questo fu fatale per lui”, aggiunge il magistrato.

Arrivò poi il drammatico interrogatorio di Speziale. “Un interrogatorio molto teso e molto lungo – racconta Angelo Busacca – dove in un primo momento aveva cercato di negare che era lui il soggetto ripreso, poi pian piano ammise che era lui che imbracciava il sottolavello ma disse sempre di averlo lanciato in aria e di non aver fatto resistenza”. Furono le cimici al centro di prima accoglienza di via Franchetti ad incastrare l’allora diciassettenne. “Noi avevamo delle intercettazioni – dice il magistrato – dove lui confidava alla madre di aver fatto resistenza a u ‘vaddia’ (poliziotto) tramite quella che lui chiama una mensola del bagno. Ci sono poi anche altre intercettazioni dove riferiva di avere nascosto la felpa in mezzo alle lenzuola”.

Speziale e Micale furono rinviati a giudizio per la morte di Filippo Raciti. I dibattimenti furono lunghissimi. Un processo si celebrò davanti alla Corte d’Assise presieduta da Luigi Russo e al Tribunale per i Minorenni presieduto da Nino Minneci. Fondamentale per la sentenza la superperizia dei tre consulenti nominati dai giudici, i professori Umani Ronchi di Roma, Bulfamente di Milano e Ricci di Napoli che “accertarono come quella piccola ferita aveva lentamente dissanguato Raciti”. La sentenza è diventata definitiva nel 2012 dopo la decisione della Cassazione che condannò Speziale a otto anni e Micale a 11.

E’ la prima volta che il magistrato parla di quell’articolata inchiesta. Ma per il decennale delle morte di Filippo Raciti ha deciso di rompere il “silenzio stampa”. Ad Angelo Busacca chiediamo una valutazione del racconto giornalistico di questa vicenda. “Non entro nel merito – commenta – perché ciascuno può raccontarlo come vuole, fu dato evidentemente ampio spazio alla difesa. Noi, soprattutto, trattandosi di un minorenne non abbiamo parlato mai del processo, tranne una conferenza stampa iniziale. Possiamo dire che abbiamo parlato con le sentenze”. Dieci anni dopo la speranza è che quanto accaduto, al di là delle ricorrenze e delle commemorazioni, diventi “una lezione che sia servita anche se pur con il sacrificio di un servitore dello Stato”.

 

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