Palermo vive, forse, uno dei momenti più critici della sua storia recente. L’emergere, improvviso e dirompente, della violenza in città ha portato al ritorno di spettri e paure che sembravano ormai appartenere esclusivamente al passato. Le difficoltà economiche, le tensioni sociali, le ambasce della politica cittadina e regionale permettono alla rassegnazione e all’indifferenza di trovare terreno fertile per diffondersi e proliferare. C’è, però, chi, lavorando nell’ombra e nel silenzio, ha deciso di non piegarsi a questo destino che pare ineluttabile. La comunità di Sant’Egidio, per esempio, da più di 40 anni ha scelto da che parte stare, garantendo, con l’impegno quotidiano e nobile del volontariato un pasto ai senzatetto della città, una visita medica o una doccia a chi vive in strada, una parola di conforto e di speranza per i carcerati e i bambini più sfortunati e difficili. Livesicilia ha intervistato Renzo Messina, responsabile della comunità palermitana di Sant’Egidio.
Messina, nella vostra attività quotidiana a fianco di chi non ha nulla o quasi, avvertite il sentore degli affanni attraversati dalla città? Qual è il segnale che, emerso con maggiore evidenza, più vi preoccupa?
“Certamente notiamo le conseguenze di questo periodo assai difficile. Il dato più preoccupante è sicuramente quello della povertà che cresce, della gente che sempre più spesso è costretta a vivere per strada. Registriamo un numero maggiore di persone che chiede sostegno alimentare, che si rivolge a noi per la soddisfazione di bisogni primari. Tutto questo porta alla riflessione su un tema principale:la responsabilità collettiva di ciascuno di noi, la necessità di accorgersi dei bisogni di chi ci sta accanto.”
La situazione in città è critica e la tentazione di arrendersi e mollare tutto, o peggio, di sfogare il proprio disagio economico e sociale in gesti violenti e intolleranti, è in agguato. Come resistere a questa marea montante?
“La strada non può che essere una sola, ed è questa: il risveglio da questo stato di rassegnazione collettiva o di indifferenza. C’è assoluto bisogno di una risposta che parte dal basso, da ciascuno di noi. Non possiamo e non dobbiamo dire: il mondo va cosi e non c’è nulla da fare. Il principio che orienta e ispira il nostro impegno a Sant’Egidio è proprio questo. Siamo convinti che il mondo cambia a partire dai poveri, dalle risposte che sappiamo dare ai loro bisogni, e dall’attenzione che tutti noi, anche singolarmente, siamo in grado di avere nei loro confronti”.
Negli ultimi tempi gli episodi preoccupanti a Palermo non sono mancati, dal racket capillarmente diffuso nel territorio della città, ai bulli che devastano e dirottano autobus, dal delitto Fragalà alle forme di protesta più dure nei confronti dei rappresentanti istituzionali della città. Qual è quello che più le è rimasto impresso?
“Senza dubbio il brutale assassinio dell’avvocato Fragalà. E’ stata l’espressione di una violenza che atterrisce. Palermo nel tempo ha avuto questa cultura violenta e periodicamente tali espressioni di violenza si ripresentano. Ma l’omicidio Fragalà è stato davvero un segnale allarmante.”
Lei dice no alla “rassegnazione collettiva”, ma il disimpegno civile sembra un altro sintomo della crisi, anche morale, della nostra comunità cittadina. Crede davvero nella resurrezione di Palermo?
“Io devo essere necessariamente fiducioso, per la mia condizione di cristiano. Ripeto: dipende solo da noi, dal nostro impegno, dalla nostra volontà. Solo così potremo risorgere insieme, cambiando davvero qualcosa. Perciò rimango ottimista”.