CATANIA – Quattromilaquattrocentoventisette voti, alcuni dei quali sarebbero stati acquistati al prezzo di 50 euro. Voti confluiti, secondo l’accusa, attraverso Forza Italia, nella coalizione che ha sostenuto Nello Musumeci. Voti di Riccardo Pellegrino, indagato per corruzione elettorale, uno degli “impresentabili”, così come è stato additato dai 5 Stelle durante le regionali, che oggi sono al centro di un nuovo caso politico. Sollevato sempre dai grillini. Le regionali di novembre, secondo i pentastellati, potrebbero essere state “falsate” qualora – e qui i 5 Stelle all’Ars si riscoprono garantisti e dimostrano quantomeno di ignorare i tempi della giustizia – “le ipotesi dell’accusa, dovessero essere confermate e supportate da sentenze passate in giudicato”. In pratica, a rigor di comunicato stampa grillino, bisognerebbe attendere almeno 8 anni.
GLI EQUILIBRI – Ma scherzi a parte, il caso Pellegrino ripropone lo schema di gioco del centrodestra in campagna elettorale, confermando gli equilibri che stanno facendo traballare la maggioranza in assemblea regionale. Secondo Pellegrino il presidente della Regione che nella casa degli alleati non conterebbe alcunché. Questo sosteneva durante un celebre comizio nel cuore di San Cristoforo, quartiere storico del famigerato clan Mazzei, del quale suo fratello Gaetano Pallegrino detto “Funciutu” è accusato di far parte.
IL COMIZIO – Siamo ai primi di ottobre del 2017, le liste non sono state ancora presentate, Nello Musumeci aveva posto il veto sulla candidatura del giovane berlusconiano, che tuonava: “Musumeci comanda a casa sua – diceva Riccardo Pellegriuno – non comanda nella lista di Forza Italia, io sono di Forza Italia, non sono Musumeci”. E il partito, in particolare i vertici catanesi, in quel momento così delicato sceglie di fare quadrato attorno al giovane di San Cristoforo la cui vita è stata sospesa tra l’attivismo sociale – così ama ripetere – e le missioni anche all’estero e l’impegno con 6 patronati sparsi nel territorio. E anche qualche ombra sollevata dalla Procura, che però aveva archiviato un’indagine per voto di scambio a suo carico.
IL COMMENTO – “Quando sostenevamo – hanno detto i deputati regionali pentastellati – che per le regionali in Sicilia ci fosse il serio rischio di pratiche clientelari di scambio elettorale, e non a caso parlavamo di impresentabili nelle liste e rischio di inquinamento del voto, siamo stati ignorati dal governo Gentiloni che ha bocciato la richiesta di intervento degli osservatori dell’Osce. Nel frattempo, gli uomini di partito ci prendevano in giro, dicendo che era impossibile chiederne l’intervento dato che si trattava di ‘consultazioni locali’. Eppure a supporto della nostra tesi, c’erano anche dei precedenti”.
LE ACCUSE – Gli uomini della direzione investigativa antimafia guidata da Renato Panvino ritengono che Pellegrino abbia acquistato “pacchetti di voti”, ritenendo di poter documentare “certamente una somma pari a 3.000 euro, in cambio di un numero imprecisato di voti per l’importo di 50 euro a preferenza”. In un altro caso sarebbero stati consegnati circa mille euro ad un altro indagato ci sarebbero altri “1.000 euro a Orazio Cutuli sempre per 50 euro a voto” e, inoltre ” la promessa di 1.300 euro a Castorina, somma corrisposta” dopo le elezioni. Pellegrino avrebbe promesso di elargire la somma a Castorina per la realizzazione di un evento. Altre due consegne di denaro in cambi voti sono contestate dalla Procura di Catania, la cui somma resta imprecisata.
IL CASO – Pellegrino respinge le accuse, si dice sicuro di poter dimostrare la propria estraneità, nel frattempo la Procura ha aperto un filone sul voto di scambio politico mafioso. Ma il caso, per il momento, nell’attesa della sentenza definitiva, resta politico, fuori dal centrodestra ma, alla Regione, soprattutto dentro la coalizione.