Ognuno di noi ha le sue private fasi “2”. Alcune di queste si ricordano ancora; altre non si vorrebbe più, ma affiorano quando sei fermo al semaforo. Tutti, chi più chi meno, siamo il prodotto finito di una serie di temporali passati, di drammi consumati. Proprietari di un baule in soffitta, un personalissimo bagaglio pieno dei grandi e piccoli frammenti della nostra storia, comprensivo di relative fasi “2”. Tutti ci somigliamo un po’, quando scorrazziamo tra i ricordi, giocando di nostalgie, fotogrammi luminosi, piccole vergogne, omissioni e mancate rimozioni. E tutti ci ritroviamo con le stesse silenziose musiche che la memoria ci regala. Perché chi non ha peccato, scagli la prima rimozione.
Sono le fasi “2” del dopo-dolore, del dopo-errore, degli “adesso basta” che abbiamo dovuto digerire senza Maalox. Con rimorsi da disinnescare e nuovi propositi da coltivare, con una fiducia tutta da confermare, da scoprire, da provare. Le fasi “2” sono pulite come tute da lavoro tirate fuori dalla lavatrice; sono come i mattini, verso le 8: seguono i mal di testa della sera prima.
Un mio amico, ad esempio, visse una sua fase “2” dal giorno in cui dovette cambiare indirizzo di studi. In una nuova facoltà trovò un’atmosfera più familiare e comprensiva. Aveva dovuto ammettere il giorno prima, con dolore, che non sarebbe mai stato un architetto, come avrebbe voluto suo padre. Riconobbe sé stesso, il suo autentico sé stesso, con i suoi veri desideri. E conobbe per la prima volta suo padre, che non lo disapprovò; anzi, con un sorriso e una pacca sulla spalla gli disse che gli voleva bene. Ma non voleva più sbagliare. Il futuro, pieno di nuovi libri, nuove aule e nuovi appuntamenti, anche lui gli sorrideva. Adesso tutto dipendeva da lui.
Un tipo che ho perso di vista, ma che ricordo bene, riconobbe la sua fase “2” uscendo da Cardiologia, dopo un lungo ricovero per un infarto. Un infermiere lo accompagnò all’uscio, raccomandandosi per una promessa di due giorni prima. Quando vide il sole, fuori dal reparto, le gambe ancora malferme, il volto pallido, rispose che no, non avrebbe fumato mai più. Mai più, davvero, mai più. E il sole in faccia gli fece assumere una smorfia che somigliava ad un sorriso. Adesso, ancora una volta, tutto dipendeva da lui.
Poi c’è la madre di tutte le fasi “2”. Il giorno dopo, o il giorno stesso, o ancora in macchina, fra lacrime fredde e parole metalliche di quando finisce una storia. Si è già lontani, anche se ci si sfiora ancora, provando dolore e ascoltando parole che non si ascolteranno più. Non più, mai più. E ci si morde le mani, per giorni e settimane e mesi ancora, tutte le volte che si vorrebbe prendere il telefono. Sempre lì, a chiedersi cosa si sia sbagliato. E cosa si sarebbe dovuto fare, adesso; quale strada, quale nuovo cielo, ora che il cielo non si vede, ad occhi bassi. Segue fase “2”; tutto dipende da te. Fatica di ricostruire.
Ora ci tocca vivere insieme questa nostra attuale fase “2”. È un evento collettivo, come dopo un terremoto, o un’alluvione. Lo facciamo adesso, spinti dalla necessità di sopravvivere; già quando la pandemia minacciava di ucciderci per un’infezione ha cominciato ad estendere i suoi malefici influssi sulle nostre economie malridotte. Qualcuno avrebbe voluto posticipare, qualcun altro anticipare; qual è il momento giusto? A ben vedere è così per ogni fase “2”, nulla di nuovo sotto il sole. Necessità di sopravvivere, si diceva.
Ci sono frasi che si ripetono: “niente sarà come prima”. Dunque, la fase “1” è stata una grande, dolorosa, letale fase dei nodi al pettine? Vediamo, cos’abbiamo sbagliato, prima? Sarà stata la disattenzione per i nostri calorosi incontri, diventati “assembramenti” senza che ce ne fossimo accorti? Sarà stato quel modo convulso di vivere, di produrre/consumare, di affrontare lavoro e divertimento con la stessa identica ansia di non perdere l’aereo? Sarà stata la dimenticanza dei nostri anziani, spesso ghettizzati in ambienti di esclusione sociale; o dell’ambiente e del clima, che solo ora sembra che ricomincino a respirare? Sarà la comunicazione impossibile fra Scienza e Politica, incapaci di ascoltarsi, entrambe ammalate, forse, di troppa autoreferenzialità?
Dovremo stare attenti. Dovremo scrivere un nuovo galateo per le nostre relazioni umane, rivedere i nostri sistemi sociali, inventarci nuove modalità per gli spostamenti e per il lavoro, rivedere con gli occhi della saggezza di chi ha sofferto le nostre risorse, il denaro, il tempo. Dovremo prestare attenzione a chi ci sta accanto, mantenendo una distanza che forse ci aprirà al rispetto reciproco e alla cura.
Dovremo soprattutto ricordarci che tutto dipenderà da noi, dalla nostra capacità di riconoscerci responsabili di noi ma anche degli altri. Di non minimizzare, ma anche di non farci spaventare da questa nostra importante fase “2”. Saremo ancora più grandi, il dolore ci fa crescere. Ci siamo abituati.