Rita Dalla Chiesa, suo padre e quei brutti manifesti

Rita Dalla Chiesa, suo padre e quei brutti manifesti

La critica e il rispetto.

L’amore di un genitore per un figlio è un tesoro inestimabile e si può declinare in tanti legami irripetibili. L’amore di un padre per una figlia è uno di questi. E dovrebbe essere un terreno incontaminato in cui entrare in punta di piedi, con rispetto e attenzione. Soprattutto se un padre manca e c’è di mezzo un immenso dolore. Rita Dalla Chiesa, candidata con il centrodestra, è un fatto che può piacere o non piacere per una infinità di motivi che hanno tutti diritto di cittadinanza. E c’è il diritto alla polemica. E c’è il diritto alla critica feroce. E c’è perfino il diritto allo sberleffo.

Ma come sono brutti quei manifesti (leggi qui), comparsi a Palermo, in cui si fa dire al generale Carlo Alberto, eroe nazionale e papà della signora, ‘mia figlia è una niagghia’, cioè, in dialetto, qualcuno che vale molto poco. E sono brutti perché fanno parlare un morto, perché entrano nella fragilità di un sentimento, non di un’idea, di un rapporto intimo che si è nutrito di assenza. Non sarebbe bastato criticare, con tutta la forza desiderata, riguardo a figure pubbliche, ai ruoli e alle scelte, proteggendo l’amore? E’ il modo che offende. Non sarebbe stato più umano lasciare in pace i morti, che nulla possono più dire, e le lacerazioni dei vivi? (Roberto Puglisi)


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