Intervista a Roberto Andò: "Palermo è rassegnata"

Roberto Andò: “Palermo è rassegnata, restare qui è una scelta eroica”

L'ultimo libro. E un ragionamento amaro sulla città

Io sono nato in una casa di via Salvatore Meccio…”

La chiacchierata con Roberto Andò ha inizio da una rievocazione toponomastica che condensa, involontariamente, un vincolo identitario.

Nella città mai unificata, nella Palermo delle contrade non dichiarate, seppure segnate da invisibili confini, gli odori, i sapori e gli sguardi si declinano nelle caratteristiche di un molteplice che si scioglie in singole familiarità, spesso, non comunicanti.

Ecco perché, quel “io sono nato…” somiglia – senza dirlo, a domanda rispondendo – a un fugace sventolio di bandiera. E poi c’è palermitano e palermitano. Di scoglio, di mare aperto, di collina, di sabbia, di scampagnata alla Favorita e arrustuta, di libri assorbiti nella stanza della monade che tutto vede, secondo l’insegnamento di Leonardo Sciascia. Roberto Andò è, semplicemente, un celebre genio del multiforme, nelle sue varie forme di scrittura per immagini o per parole. Lo è da regista, sceneggiatore, scrittore e tanto altro.

L’ultimo libro ‘Il coccodrillo di Palermo (edizioni: la nave di Teseo) raggiunge un’altra vetta. Resti invischiato nell’incipit, esci dal labirinto solo all’ultima pagina, dopo camminamenti lungo strade preziose, quando te lo concede il narratore che è insieme Minotauro e filo d’Arianna.

C’è ovviamente una storia da non anticipare. Ma c’è, soprattutto, Palermo, nel rimando delle partenze e dei ritorni, come moto per luogo di un viaggio. E di Palermo, appunto, parliamo.

Lei è nato in via Salvatore Meccio. Quali sono i suoi primi ricordi?
“Quando sei un bambino, tutta la città palpita di misteri e si hanno sensazioni diverse che conducono al fascino della scoperta. Anche a me è successo: dal mistero si traevano gli interrogativi. La curiosità dell’indagine mi è, necessariamente, rimasta”.

Con curiosità persistente, ha scritto un romanzo di indagini, su un palermitano che rientra dentro una virtuale cinta muraria…
“C’è alla base, non lo nascondo, un rapporto conflittuale che mi riguarda e che alimenta sentimenti profondi”.

Li esorcizza o li accetta?
“La letteratura è l’arte di cercare quello che non trovi più, tra dolori, gioie e ferite. Io non ho smesso di interrogare Palermo che, per certi versi, oggi, mi sembra una città illeggibile”.

Ha dei rimorsi o dei rimpianti da confessare?
“No, in verità. La mia è una interrogazione civile, legata alla comunità, alla collettività. E’ come se la vera città fosse sparita sotto il suo romanzo, in una dimensione che rende più complesso cogliere la realtà”.

Ma Palermo, nei suoi ritorni, come le appare?
“Non in splendida forma, con tante delle sue caratteristiche ormai smarrite”.

Cioè?
“Palermo sta diventando un luogo vocato al turismo incondizionato e indiscriminato e sta perdendo la sua identità, la sua fisionomia. Non si dibattono più le questioni importanti che, un tempo, erano il pane quotidiano. Palermo, a mio parere, vive un momento di rassegnata decadenza”.

Tre le questioni importanti c’è la cultura dell’antimafia.
“Annoto che esiste un riflusso in atto sul punto. Certe battaglie sono state dimenticate e soffocate da un desiderio di oblio. Non si avverte più quella forza rigeneratrice degli anni passati”.

Lei è nel novero di coloro che partirono, per sprigionarsi. Il suo cognome, suggestivamente, racconta una scelta…
“Mi sono subito reso conto che le mie aspirazioni artistiche non avrei potuto coltivarle qui, in alcun modo. Tanti amici, invece, non si sono mossi”.

Cosa direbbe a un giovane palermitano: vai o resta?
“Gli consiglierei di scegliere liberamente, sapendo che chi rimane ingaggia una battaglia e dovrà alimentare la sua vita, a Palermo, con una determinazione doppia rispetto alla normalità”.

Sarà dunque, per quel giovane, più complicato che altrove?
“Restare qui è una scelta eroica..”.


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